La legge n. 239 del 2004, di riordino del
settore energetico, stabilisce: “sono fatte salve le competenze delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano che
provvedono alle finalità della presente legge ai sensi dei rispettivi
statuti speciali e delle relative norme di attuazione” (art. 1). Essa, inoltre, riserva allo Stato “le determinazioni inerenti la
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di
polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni
interessate”.
Sulla base di queste previsioni, si
sarebbe dovuto ritenere che, per questa sua parte, la legge fosse applicabile
solo alle Regioni a statuto ordinario e che – in linea con l’approccio “globale”
alla politica energetica – le Regioni a Statuto speciale e le due Province
autonome dovessero, invece, solo perseguire le finalità indicate dalla legge.
Da
questo punto di vista, la legge dello Stato si sarebbe posta come un limite di carattere negativo all’esercizio delle competenze
delle Regioni a Statuto speciale. Per fare un esempio, la Regione Siciliana avrebbe potuto continuare ad esercitare la sua competenza esclusiva in
materia di “miniere”, ma in armonia
con le finalità della legge.
Nel 1991, in verità, la Corte
costituzionale era già intervenuta sul problema e aveva chiarito che la legge
dello Stato fosse applicabile anche alle autonomie speciali, in
ragione dell’interesse nazionale
sotteso alla realizzazione degli impianti energetici e delle attività
petrolifere: in questo modo, essa riteneva, seppur implicitamente, che
l’interesse nazionale andasse inteso come un limite di carattere positivo, idoneo, cioè, a radicare un diretto
intervento legislativo dello Stato; il quale, in relazione all’esercizio delle funzioni
amministrative, avrebbe dovuto coinvolgere anche le Regioni (tutte)
attraverso lo strumento dell’intesa (in luogo del mero parere previsto dalla
legge n. 9/1991).
Nonostante questa pronuncia, però, la
materia “miniere” continuava ad essere disciplinata in via esclusiva dalla Regione
Siciliana e dalla Regione Sardegna (nonostante, in quest’ultimo caso, la materia sia di competenza concorrente).
È evidente che si è trattato, allora, di una prassi
solo “tollerata”.
Lo Sblocca-Italia prevede ora che “le
disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a
statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei
rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione” (art. 43-bis).
Questa disposizione non compariva nel
testo originario del decreto; ma ciò non toglie che, anche qualora tale
precisazione non fosse stata introdotta, il decreto avrebbe trovato comunque
applicazione alle Regioni a Statuto speciale.
La ragione per cui lo sblocca-Italia dovrebbe
dirsi applicabile anche alle Regioni a Statuto speciale è quella posta in luce
dalla Corte costituzionale nel 1991: la realizzazione delle opere e delle
attività contemplate dal decreto risponderebbero ad un interesse nazionale e
per questo esse sarebbero strategiche, di pubblica utilità, indifferibili e
urgenti. La qual cosa legittimerebbe la c.d. “attrazione in sussidiarietà” da
parte dello Stato. D’altra parte, l’art. 38 dello Sblocca-Italia questa volta
lo dice espressamente: il titolo concessorio unico è accordato “con decreto del
Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o la
provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata”. E
il riferimento a Trento e Bolzano lascia, appunto, intendere che la disciplina del
procedimento trovi applicazione anche alle Regioni a Statuto speciale.
È difficile dire se lo Stato continuerà a
“tollerare” che la Sicilia e la Sardegna disciplinino in modo
autonomo le attività relative agli idrocarburi liquidi e gassosi
(in terraferma). Una cosa, però, è certa: qualora la normativa dovesse
applicarsi anche a loro, l’attrazione in sussidiarietà delle funzioni relative
a quelle attività deve essere rispettosa dei principi di ragionevolezza e
proporzionalità (v. Corte cost., sent. 303/2003). Il che è dubbio quanto meno
con riguardo all’art. 38, comma 1-bis, che autorizza il Ministro dello Sviluppo
economico a predisporre un piano che individui le aree nelle quali consentire
quelle attività, posto che, in questo caso, la mancata individuazione
dei criteri da seguire nell’elaborazione del piano renderebbe lo
Sblocca-Italia irragionevole e sproporzionato (stante appunto il fatto che
potenzialmente tutto il territorio nazionale potrebbe essere interessato da
quelle attività) e violerebbe le prerogative delle Regioni e degli Enti locali,
come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 383/2005, che, a
proposito di “programmazione” energetica, ha ritenuto necessaria l’acquisizione
di una intesa “in senso forte” da parte della Conferenza unificata. Da
questa precisazione, poi, dovrebbe anche seguire che, in ordine ai singoli
procedimenti amministrativi che mettono capo al rilascio del titolo concessorio,
lo Stato sia tenuto a coinvolgere, oltre che le Regioni, anche gli Enti locali.
Enzo Di Salvatore
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