Da
una manciata di giorni a questa parte, il premier Renzi sembra aver cambiato
strategia rispetto all’iter di approvazione dell’Italicum, la legge elettorale
“figlia” del patto siglato in Largo del Nazareno a Roma tra il Presidente del
Consiglio e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Se finora il testo
provvisorio della legge era stato lasciato (e dimenticato) in un cassetto di
una scrivania di Palazzo Madama, oggi Renzi sembra volerlo riprendere in mano
non solo per riportarlo sotto i riflettori del circo mediatico, ma anche per
plasmarlo a sua immagine e renderlo di nuovo protagonista degli ordini del
giorno delle Commissioni Parlamentari.
La
Corte Costituzionale, nella famosa sentenza boccia-Porcellum (1/2014), aveva
invitato le forze politiche (pur se tra le righe) ad impegnarsi affinché una
nuova legge elettorale venisse approvata prima di nuove elezioni,
tranquillizzando allo stesso tempo i più scettici sulla pacifica applicabilità
della normativa di risulta, ossia delle disposizioni sopravvissute alla cesoia
dei giudici costituzionali.
L’ex
sindaco di Firenze avrebbe giurato al Quirinale qualche settimana dopo e, come
sappiamo, già allora Renzi non aveva dubbi sul come e sul quando delle riforme istituzionali:
avviare subito l’iter delle riforme costituzionali (Senato-Titolo V etc.) e
“agganciare” a quest’ultimo il procedimento relativo all’Italicum. Il perché
era (ed è) chiaro: Renzi aveva in mente una legge elettorale che andasse
applicata esclusivamente alla Camera e non al Senato elettivo, le cui esequie
sembravano allora già fissate.
Oggi,
quell’aggancio sembra non esserci più; oggi Don Matteo (grazie, Serra) spinge
per un’approvazione celere del disegno di legge, il quale possibilmente
contenga le modifiche da lui tanto anelate, quale ad esempio quella del “premio
di lista”, che permetterebbe di avere l’agognato governo “monocolore”. Nel
frattempo il patto con Berlusconi scricchiola: l’ex premier sa che il “sì” all’Italicum
potrebbe significare elezioni anticipate e, come noto, nulla più di uno
scenario simile spaventa al momento il vecchio leone, depauperato di consenso e
credibilità.
Il
Re della Leopolda sembra tra l’altro non badare a quanto sostenuto dalla Corte
Costituzionale, la quale (come riportato da Ainis sul Corriere) ci tiene a
precisare che l’ipotesi di coesistenza - non affatto di scuola - di due leggi
elettorali, una supermaggioritaria per la Camera e l’altra superproporzionale
per il Senato, va ad offendere “i principi di proporzionalità e
ragionevolezza”.
Perché,
dunque, Renzi sembra non transigere sull’esigenza di mettere il piede sull’acceleratore
della “macchina Italicum”? Semplice: in primo luogo perchè quella soglia
necessaria a “beccarsi” il premio di maggioranza (qualche volta attestantesi al
37%, altre volte salita al 40%) sembra esageratamente vicina e umana e
afferrabile dopo il voto di maggio; in secondo luogo perché l'inquilino di
Palazzo Chigi sa bene che la legge elettorale non richiede, al fine dell’approvazione,
le maggioranze previste per le leggi costituzionali: la maggiore speditezza
delle procedure parlamentari potrebbe non rendere utopico il “sì” all’Italicum
entro le prime settimane del 2015.
Quale
potrebbe essere l’unico ostacolo alla marcia apparentemente inarrestabile della
nuova legge elettorale? Giorgio Napolitano. Sì, proprio lui, che sembra
intenzionato a lasciare il Quirinale a fine anno. Lui, poverino, sperava di
poter vedere la “nascita” dell’Italicum nelle more del mandato. L’annuncio ufficioso
delle dimissioni pare invece essere segno di insofferenza nei confronti dell’eterna
indecisione dell’intera compagine politica del nostro Paese. Comunque, è chiaro
che le procedure per l’elezione del nuovo Presidente impegneranno per un tempo
indefinito entrambi i rami delle Camere, i quali saranno costretti di nuovo a
riporre nel cassetto il testo della approvanda legge elettorale.
Dal
Quirinale ancora nessuna nota di conferma sulle intenzioni a breve termine del
Presidente. Quindi, così stando le cose, il treno va. E spedito pure. Avviso ai
gentili passeggeri: non ferma alle stazioni “ragionevolezza” e “proporzionalità”.
OMAR PALLOTTA
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