domenica 26 gennaio 2014

Il futuro del petrolio in Italia: a proposito di una recente intervista rilasciata da Chicco Testa

Chicco Testa, che negli anni ’80 è stato Presidente nazionale di Legambiente, è oggi parte della Board and Management della Medoilgas, la società petrolifera attiva nell’esplorazione e nella produzione di idrocarburi liquidi e gassosi nell'area del mediterraneo: la stessa che a breve potrebbe ottenere la concessione Ombrina mare in Abruzzo. Nell’intervista rilasciata qualche giorno fa a Leo Amato de Il Quotidiano della Basilicata ("Dire no al petrolio è un suicidio") Testa valuta “strapositivamente” la proposta avanzata dal segretario nazionale del PD, Matteo Renzi, con la quale si vorrebbe recuperare quanto contenuto nel disegno di legge di revisione costituzionale presentato a suo tempo dal Governo Monti. Secondo Matteo Renzi, infatti, “non è accettabile che in tempi di difficoltà economica la politica continui con i suoi carichi di costi e le regioni si trasformino in dei macro Stati che pensano di poter governare tutto”. E per questa ragione occorre porre rapidamente mano al Titolo V della Costituzione e stabilire che alcune materie – come appunto l’energia – tornino alla competenza esclusiva dello Stato.
Nell’intervista, il giornalista rivolge a Testa la seguente domanda: “In Abruzzo sembra essere stato il Governo a mettersi di traverso al progetto. Cosa cambia se da domani la Regione non avrà più voce in capitolo?”. A questa domanda Testa risponde che, in effetti, il procedimento per il rilascio del titolo si è momentaneamente arenato presso il Ministero, ma “soltanto da un punto di vista formale”, in quanto “l’opposizione del Ministro Orlando, stando a quanto mi è stato riferito, sarebbe da attribuirsi alle pressioni di alcune forze politiche regionali preoccupate per i riflessi sulle prossime elezioni. Non la Regione, sia chiaro. Tant’è che il presidente mi ha ripetuto più volte di non avere poteri per intervenire sulla questione”.
Cosa c’entri questo con la riforma del Titolo V, però, sfugge: lo stesso Presidente della Regione Chiodi gli avrebbe detto di “non avere poteri per intervenire sulla questione”; sebbene – stando a quello che riferisce Testa – dovrebbe dedursi che per alcuni politici abruzzesi il problema sia dato dalle elezioni regionali alle porte e non dal progetto Ombrina in sé. Inquietante.
Poi Testa, dopo aver tacciato di egoismo territoriale le Regioni del Sud Italia, passa ad affrontare la questione petrolifera in Basilicata e sostiene che la Basilicata “ha bisogno di investimenti enormi” nel settore, in modo da far fronte alla situazione di povertà in cui versa. C’è bisogno di ricordare a Testa che da anni la Basilicata è interessata da progetti petroliferi e che nonostante questo la sua economia non è affatto migliorata? Come mai – tanto per dirne una – il prezzo del carburante alle pompe di benzina è di gran lunga superiore a quello di molte altre Regioni? Non sarà forse che una volta ottenuta la concessione all’estrazione il petrolio è di chi lo estrae e non della Regione e nemmeno dello Stato? La società petrolifera, infatti, ne fa quel che vuole. Lo sanno tutti. In cambio essa è tenuta a versare allo Stato solo un corrispettivo su quanto estratto (le c.d. royalties) e di questo solo una parte esigua va alla Regione e agli enti locali interessati.
Non è un problema ideologico, ma una questione di rapporto costi-benefici: che, però, Testa sposta sul secondo termine del rapporto. Tant’è che per convincere il lettore dei molti benefici che il petrolio apporterebbe ai territori – da lui definiti “egoisti” (il che già basterebbe a smentire che i costi siano inferiori ai benefici) – Testa afferma che le attività petrolifere sono perfettamente compatibili con le esigenze di tutela ambientale (i.e.: con la presenza di aree naturali protette) e con il turismo, omettendo, però, di precisare che il rilascio di un titolo minerario può condurre – com’è appunto accaduto in Basilicata con il progetto “Tempa Rossa” – all’espropriazione dei terreni dei cittadini egoisti. In questo caso, ci sarebbe da chiedergli quale beneficio possano trarne gli agricoltori, visto che a seguito dell’espropriazione sarebbe da corrispondere loro solo una manciata di spiccioli. Ma  Testa, appunto, non lo spiega. Ed anzi subito dopo si mostra scandalizzato del fatto che in Parlamento si discuta dell’opportunità di prevedere che le attività petrolifere debbano essere preventivamente assoggettate a valutazione di impatto sanitario: “Ma ci rendiamo conto?” – esclama Testa . “È come se mettendosi in auto ogni mattina uno debba pensare agli effetti sulla salute che avranno le emissioni dal tubo di scappamento”. Il che – come si vede – non equivale a negare che quelle attività possano essere nocive per la salute del cittadino (egoista), bensì solo che non avrebbe senso preoccuparsi di verificare in che misura ciò lo sia; perché se così fosse dovremmo anche pensare agli effetti provocati dalla “emissioni dal tubo di scappamento”. Ed infatti. Perché mai non dovremmo preoccuparcene?   

ENZO DI SALVATORE


sabato 11 gennaio 2014

Ognuno se la S.E.N. e se la canta come vuole!


Il controverso documento che contiene la S.E.N. si articola in 139 pagine di testo.
Sovente ripetitivo, nei suoi primi dieci mesi di vita, strada facendo si è trasformato nel cilindro del celebre Mago Houdini: ognuno ci legge ciò che più reputa conveniente ed opportuno.
Non si può affermare, tuttavia, che in questo caso la colpa sia tutta del lettore non acculturato o dell’interprete smaliziato: una scrittura meno ambigua, che non mettesse assieme le parole “produzione sostenibile” ed “idrocarburi nazionali” o il superamento degli obiettivi di decarbonizzazione definiti nella Roadmap 2050 con il rilancio delle attività legate ai combustibili fossili, tacendo peraltro sul redivivo carbone, avrebbe reso tutto meno opaco.
Ci sono tuttavia alcuni aspetti della S.E.N. che meritano di essere considerati: il richiamo all’obiettivo dell’efficientamento energetico e la prevista reintroduzione della carbon tax.
In entrambi i casi abbiamo a che fare più con enunciazioni teoriche, soprattutto nel secondo, che non piani d’azione coerenti con gli obiettivi della Strategia Energetica Nazionale.

EFFICIENTAMENTO - “Fare di più con meno” non risponde soltanto a quella logica di ottimizzazione che connota il sistema capitalistico ma anche a principi di sobrietà -da non confondersi con quello di “austerità”- che riconosciamo come parte del nostro patrimonio culturale e che segna, nella nostra visione dell’economia, lo spartiacque tra una buona ed una cattiva “crescita”.
Dal dire al fare … Recita testualmente la S.E.N. a pagina 42: “Dato che le azioni di efficienza energetica hanno spesso un ritorno economico positivo, in uno scenario puramente razionale, ci si aspetterebbe che tali azioni e investimenti si realizzino spontaneamente, guidati dalle logiche economiche e dal mercato. Il meccanismo virtuoso è però ostacolato da numerose barriere all’adozione di tecnologie per l’efficientamento, diverse in base al settore”.
Segue un’analisi settoriale (industria, edilizia residenziale, trasporti, pubblica amministrazione, ecc.) sia delle criticità sia delle misure adottate e da adottare. Ricordare come poco o nulla sia stato fatto in materia di mobilità e di urbanistica sostenibile (es.: con le smart cities), di ammodernamento dell’azione della pubblica amministrazione, di investimento nella ricerca piuttosto che di incentivazione alla conversione in senso “green” di taluni processi produttivi che sprecano risorse ed impattano sull’ambiente, sarebbe fin troppo scontato.
Preme invece porre in evidenza una contraddizione ancora più stridente: la S.E.N.: pone tra i propri obiettivi l’efficientamento energetico. Afferma essa stessa che esistono oggettive barriere all’adozione di nuove tecnologie “not energy intensive” o “not CO2 intensive” che dir si voglia. Individua le criticità e disegna linee, anche finanziarie, di intervento. Ma non ritengono gli ideologi della S.E.N. che, “in uno scenario puramente razionale”, nel momento in cui la politica energetica del nostro Paese marcia verso l’obiettivo del rilancio delle fonti fossili -carbone incluso-, gli investitori siano dissuasi dallo scommettere su ricerca ed innovazioni tecnologiche “green” ed indotti invece a puntare su progetti con payback meno lunghi?
Così Il Presidente di Confindustria: “La green economy ha un ruolo chiave nella sfida ambientale lanciata a livello europeo con l'accordo 20-20-20, deve essere trasformata in un'opportunità di crescita tecnologica e industriale per il nostro paese. Il pilastro portante della green economy in Italia è individuabile nell'industria dell'efficienza energetica”.
"Abbiamo realizzato uno studio sull'impatto economico dell'efficienza energetica. Oggi ci sono 250 imprese coinvolte nella domanda per investimenti per l'efficienza. Nel periodo 2014-2020 con l'adozione delle proposte suggerite dal nostro studio si potrebbe avere incremento della produzione industriale di 65 miliardi all'anno e un aumento dell'occupazione di circa 500 mila unità".
Le affermazioni perentorie di Giorgio Squinzi si commentano da sole. Ancor più eloquenti quelle di Guido Barilla: “Confindustria si occupi dei produttori, fuori i servizi” come Eni, Enel o Ferrovie.
C’è un ulteriore elemento di cui occorre tener conto: la S.E.N. indica tra le priorità d’azione -sette in tutto- la “Produzione sostenibile di idrocarburi nazionali”. In tutto questo il nostro Paese agisce in modo coerente con quanto sta avvenendo anche in Grecia, Albania, Montenegro, ecc., e all’interno di un contesto internazionale in cui, secondo il Fondo Monetario Internazionale, tra tutte le fonti energetiche quelle più incentivate sono proprio quelle fossili.
Il rischio paventato dal noto Gruppo Bancario HSBC, è che premendo l’acceleratore sulle “fossili”, reso ancor più frizzante dalle varianti shale gas e shale oil, la comunità internazionale stia alimentando il rischio di una nuova bolla speculativa (v. http://qualenergia.it/articoli/20130204-finanza-fossili-e-allarme-di-hsbc-attenti-alla-bolla-della-co2) con tutte le nefaste conseguenze del caso.

CARBON TAX - Last but non least, la CARBON TAX che troviamo alle pagine 73, 77 e 98 della S.E.N.. Data per scontata la condivisione del fondamento della Carbon Tax (“Chi più emette biossido di carbonio in atmosfera più paga”), nelle intenzioni dei redattori della S.E.N. l’introduzione della Carbon Tax avrebbe dovuto apportare le risorse finanziarie necessarie anche per alleggerire il peso degli incentivi alle “rinnovabili” o di futuri interventi finalizzati all’efficientamento energetico.
E invece … nel lessico della politica italiana “Carbon Tax” è diventata oramai parola tabù e per alleggerire il peso in bolletta degli incentivi alle “rinnovabili” il Governo si è inventato un sistema di rimodulazione volontaria degli incentivi (detto “spalma incentivi”), prevedendolo nel Decreto “Destinazione Italia”.


Enrico Gagliano
Comitato Abruzzese per la Difesa dei Beni Comuni (aderente al Coordinamento Nazionale NO TRIV).    

giovedì 2 gennaio 2014

Lettera aperta in merito alla vicenda "BANCA TERCAS S.p.a."

Riceviamo e pubblichiamo.
Ogni dichiarazione ivi contenuta non è attribuibile al presente Blog ma solo all'Autore.



Con riferimento alla vicenda BANCA TERCAS S.p.a., oltre alle responsabilità, in via di accertamento, dei singoli, esistono responsabilità che potremmo definire “di sistema”.

La sentenza è sibillina e senza appello: la degenerazione dei partiti è causa delle tribolazioni di BANCA TERCAS non meno di quanto lo sia dei debiti milionari e delle inefficienze di Ruzzo, Teramo Ambiente, Cirsu, Arpa, ecc.. 
In questo caso, tuttavia, c’è da considerare un’aggravante: stravolgere le regole del sistema creditizio e piegarle ai desiderata degli “amici” significa condizionare pesantemente lo sviluppo economico e sociale di un Paese; significa condizionare la libertà di iniziativa economica o fare in modo che si svolga “ …. in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”; interferire arbitrariamente e pesantemente nel meccanismo della libera competizione tra operatori economici; creare privilegi immotivati a favore di alcuni nei confronti di altri; premiare progetti industriali poco credibili ed impedire l’ingresso sul mercato di nuove imprese e la creazione di nuova occupazione; prendersi gioco dei risparmiatori e del risparmio, impedendo che questo “… acceda alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.
Considerevole il numero di articoli della nostra Costituzione ridotti in macerie. Tradito lo spirito della nostra Carta Costituzionale. 

Ma torniamo alle "miserie" di casa nostra. BANCA TERCAS è controllata per il 65% del capitale sociale dalla FONDAZIONE TERCAS il cui Statuto, sia nella versione precedente del 2007 sia in quella in vigore dal 4/10/2013, prevede che il Consiglio di Amministrazione della Fondazione venga eletto dal Consiglio di Indirizzo.
La maggior parte dei componenti del Consiglio di Indirizzo, anche se formalmente nominata da altri, è sostanzialmente designata dai partiti politici per il tramite di alcuni enti territoriali.

Secondo la formulazione del 2007, confermata in quella del 2013, all’art. 13 lo Statuto della FONDAZIONE prevede infatti che:

==== omissis =======

- due membri sono espressione della comunità di Teramo e sono designati dal Sindaco del Comune di Teramo;
- un membro è espressione della comunità di Atri ed è designato dal Sindaco del Comune di Atri;
- un membro è espressione della comunità di Nereto ed è designato dal Sindaco del Comune di Nereto;
- un membro è designato dal Presidente della Provincia di Teramo;
- un membro è designato dal Presidente della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura della Provincia di Teramo;
- un membro è designato dal Rettore dell’Università degli Studi di Teramo;
- tre membri sono nominati direttamente dallo stesso Consiglio di Indirizzo.

Visti i rapporti di forza del tempo, era quasi scontato che fino al 2011 fosse il centrosinistra a detenere la maggioranza del Consiglio di indirizzo e a dettar legge anche nella nomine dei componenti del Consiglio di Amministrazione della Fondazione che a sua volta ha potere di vita o di morte sulla composizione del Consiglio di Amministrazione di BANCA TERCAS.

Schematizzando, finché il centrosinistra è stato in grado di conservare la maggioranza del Consiglio di Indirizzo della Fondazione, si è automaticamente assicurato il controllo del CdA della BANCA.
Dal 2011 in poi si è aperta invece una nuova fase in cui, cambiando i rapporti di forza all’interno del Consiglio di Indirizzo della Fondazione a causa del passaggio al centrodestra della guida politica della Provincia di Teramo, del Comune di Atri e di quello di Nereto, alla scadenza del mandato del “vecchio” CdA, la sostituzione dei componenti è stata improntata a differenti criteri “partitici” ma pur sempre nell’ottica della continuità spartitoria: oggi ad essere totalmente “nuovo” dell’ambiente Tercas è il solo Alessandro D’Ilario, assicuratore in Roseto degli Abruzzi.
Quanto al resto dei componenti, si tratta di volti già noti: oltre al Presidente, Prof. Mario Nuzzo, ritroviamo nel CdA della FONDAZIONE, promosso al rango di Vice Presidente, l’Avv. Vincenzo De Nardis, già membro del Consiglio di Indirizzo in quota centrodestra per il Comune di Teramo; così come Marino Iommarini e Raffaele Marinucci, entrambi in quota centrodestra in quanto precedentemente designati a far parte del Consiglio di Indirizzo dalle Amministrazioni Comunali di Atri e Nereto.
Ecco spiegato il meccanismo, perfettamente legittimo e previsto in Statuto, che dalla notte dei tempi ha consentito alle diverse fazioni di “scalare” e di mantenere il controllo della FONDAZIONE e, di conseguenza, anche della BANCA TERCAS, determinandone il bello ed il cattivo tempo.

Quanto siamo disposti a tollerare tutto questo? E' accettabile che le FONDAZIONI BANCARIE e, quindi, le loro banche, possano essere scalate e controllate dai partiti?
Come la recente storia economica del nostro Paese insegna (vedi, ad esempio, Monte dei Paschi) esistono responsabilità politiche che investono il sistema dei partiti su scala ben più ampia di quella regionale dove operano “appena” 4 fondazioni bancarie a fronte di altre 84, concentrate soprattutto nelle regioni del Centro-Nord d’Italia: tutti i tentativi di riforma delle Fondazioni Bancarie e del loro rapporto con il sistema creditizio hanno fin qui miseramente fallito e, a parte la stampa di settore, questo punto non compare tra le priorità di intervento delle forze politiche oggi rappresentate in Parlamento.
Né qualcuno chiede cosa ne sia stato, ad esempio, della previsione normativa riguardante l’istituzione di un’Authority sugli enti no-profit, fondazioni bancarie comprese.
Sicché, per l’immediato futuro, non vi sono elementi per essere particolarmente ottimisti.
Nel frattempo la magistratura riempie i buchi lasciati dalla politica.


Enrico Gagliano
Comitato abruzzese difesa beni couni