lunedì 29 agosto 2011

Corte costituzionale, sentenza 5 giugno 2011, n. 191 (modifiche al calendario venatorio della Regione Liguria)

La pronuncia della Corte Costituzionale che qui si segnala origina da un ricorso sollevato dallo Stato italiano nei confronti della Regione Liguria. Con esso, il Governo nazionale aveva chiesto alla Corte di valutare l’aderenza al dettato costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Liguria 29 settembre 2010, n. 15, relativa all’approvazione del calendario venatorio triennale. Nello specifico, i dubbi prospettati concernevano la legittimità dell’introduzione di talune deroghe alla legge dello Stato n. 157 del 1992: per il Governo, infatti, ciò avrebbe violato l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

In linea con quanto già statuito in precedenza, il giudice costituzionale ha ritenuto fondata la questione posta dal Governo e ha dichiarato, per conseguenza, l’illegittimità della legge regionale.

Con la sentenza n. 313 del 2006, la Corte ha, infatti, ammesso il conflitto di attribuzione sollevato dallo Stato avverso la delibera della Giunta della Regione Calabria (17 febbraio 2004, n. 88), che, prevedendo la possibilità di cacciare determinate specie animali nel periodo compreso tra il 21 febbraio e il 21 marzo del 2004 (in tal modo prolungando il periodo della attività venatoria), prolungava il periodo della attività venatoria, oltre quanto consentito dalla legge n. 157 del 1992. In quella occasione, la Corte ha annullato la delibera della Giunta regionale.

Nel 2009, ancora, con la sentenza n. 272, la Corte ha dichiarato illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 8 della legge n. 34 del 2007 della Regione Liguria aventi ad oggetto, rispettivamente, le norme volte alla tutela e valorizzazione del patrimonio naturale, etnoantropologico e paesaggistico e la possibilità, tramite un tecnico abilitato, di apposita autocertificazione attestante il rispetto di parametri quantitativi e qualitativi previsti nel Piano del Parco. Anche in questo caso, il ricorrente ha ritenuto che la legge violasse con gli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), e 118, terzo comma, della Costituzione.

Nel 2010, infine, con la sentenza n. 191, la Corte ha censurato il “Testo unico sulla tutela delle aree naturali e della biodiversità”, approvato dalla Regione Piemonte l’anno prima. In essa si è precisato che, con la riforma del Titolo V, la competenza in ordine alla “tutela” dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, è rimessa in via esclusiva in capo allo Stato; mentre alla Regione sarebbe consentito attivarsi solo per disciplinare i profili più strettamente amministrativi della materia (a patto che ciò risulti indispensabile ai fini della tutela ambientale). In questa prospettiva, la normativa dettata dalla legge n. 394 del 1991 sulle aree protette, che, in materia di ambiente, conferisce funzioni amministrative in capo alle Regioni, non potrebbe essere né derogata né modificata dalla legge regionale.

Quanto statuito con la sentenza che segue costituisce una conferma di questo indirizzo ormai univoco e costante.

CARLO ALBERTO CIARALLI




SENTENZA N. 191

ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo MADDALENA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Liguria 29 settembre 2010, n. 15, recante «Modifica della legge regionale 6 giugno 2008, n. 12: Calendario venatorio regionale triennale e modifiche alla legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) e sue modificazioni e integrazioni», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26 novembre-1° dicembre 2010, depositato in cancelleria il 30 novembre 2010 ed iscritto al n. 118 del registro ricorsi 2010.

Udito nell’udienza pubblica del 10 maggio 2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

udito l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per il Presidente del Consiglio dei ministri.



Ritenuto in fatto


1. – Giusta conforme deliberazione governativa del 18 novembre 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, con ricorso notificato in data 26 novembre 2010, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Liguria 29 settembre 2010, n. 15, recante «Modifica della legge regionale 6 giugno 2008, n. 12: Calendario venatorio regionale triennale e modifiche alla legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) e sue modificazioni e integrazioni», affermandone il contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

1.1. – Riferisce il ricorrente che, mentre il secondo dei due soli articoli di cui consta la legge impugnata si limita a contenere la formula che prevede la entrata in vigore della legge stessa il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione, con il primo è disposta la sostituzione del primo capoverso della lettera G) del comma 1 dell’art. 1 della legge regionale 6 giugno 2008, n. 12, recante «Calendario venatorio regionale triennale e modifiche alla legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) e sue modificazioni e integrazioni», con la seguente disposizione: «G) Orario di caccia: Il prelievo venatorio delle specie cacciabili elencate dal presente calendario è consentito da un’ora prima del sorgere del sole sino al tramonto secondo l’orario di seguito riportato, fatto salvo quanto previsto dal comma 7-bis dell’art. 34 della L.R. n. 29/1994 e per la beccaccia come disposto alla lettera A), punto 3), del presente calendario».

Precisa, a questo punto, il ricorrente che il richiamato comma 7-bis dell’art. 34 della legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), a sua volta, nello stabilire anch’esso che la caccia è consentita da un’ora prima del sorgere del sole fino al tramonto, precisa, tuttavia, in deroga alla precedente disposizione che: «la caccia di selezione agli ungulati è consentita fino ad un’ora dopo il tramonto. La caccia da appostamento fisso o temporaneo alla selvaggina migratoria è consentita fino a mezz’ora dopo il tramonto».

1.2. – Così descritto il quadro normativo di immediato riferimento, il ricorrente rileva che la disposizione censurata si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, modificando nei termini anzidetti l’art. 1, comma 1, lettera G), della legge regionale n. 18 del 2008, ha esteso l’orario entro il quale è consentito l’esercizio della attività venatoria oltre i limiti fissati dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), costituenti livello minimo di tutela della fauna selvatica.

Infatti, nel fare salvo quanto previsto dal comma 7-bis dell’art. 34 della legge regionale n. 29 del 1994, la disposizione censurata rende lecita la caccia di selezione degli ungulati sino ad un’ora dopo il tramonto e quella da appostamento fisso o temporaneo della selvaggina migratoria sino a mezz’ora dopo il tramonto, là dove, invece, l’art. 18, comma 7, della legge n. 157 del 1992 prevede che sia consentita dopo il tramonto, per un’altra ora, esclusivamente la caccia di selezione degli ungulati.

Osserva il ricorrente che, pertanto, le legislazione ligure appresta alla selvaggina migratoria un livello di tutela inferiore a quello fissato dallo Stato, consentendo, in deroga al principio generale, anche per essa il prelievo venatorio sino a mezz’ora oltre il tramonto del Sole.

La disposizione impugnata ponendosi in contrasto con la disciplina statale che fissa i limiti temporali del prelievo venatorio, disciplina che più volte la Corte costituzionale ha ascritto alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, violerebbe, ad avviso del ricorrente, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2. – La Regione Liguria, pur ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio.


Considerato in diritto


1. – Il Presidente del Consiglio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1 (rectius unico), della legge della Regione Liguria 29 settembre 2010, n. 15, recante «Modifica della legge regionale 6 giugno 2008, n. 12: Calendario venatorio regionale triennale e modifiche alla legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) e sue modificazioni e integrazioni», ritenendo che il medesimo sia in contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

Ciò in quanto siffatta disposizione, nel fissare l’orario giornaliero in cui è consentito l’esercizio venatorio, fa salvo quanto previsto dal comma 7-bis dell’art. 34 della legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), il quale, a sua volta, prevede che la «caccia di selezione agli ungulati è consentita fino ad un’ora dopo il tramonto. La caccia da appostamento fisso o temporaneo alla selvaggina migratoria è consentita fino a mezz’ora dopo il tramonto».

In tal modo, ritiene il ricorrente, si determina una deroga a quanto stabilito in via generale dall’art. 18, comma 7, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che, fissato l’orario in cui è consentita la caccia da un’ora prima del sorgere del Sole fino al tramonto, prevede che la sola caccia di selezione degli ungulati sia permessa sino ad un’ora dopo il tramonto del Sole.

Ad avviso del ricorrente, la ulteriore deroga prevista dal legislatore ligure costituirebbe violazione del livello minimo di tutela ambientale fissato dal legislatore statale, in tal modo violando l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2. – La questione è fondata.

2.1. – Al riguardo, va detto che con giurisprudenza costante questa Corte ha affermato che la disciplina statale, che delimita il periodo entro il quale è consentito l’esercizio venatorio, è ascrivibile al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando nella materia della tutela dell’ambiente, vincolante per il legislatore regionale (sentenze n. 272 del 2009 e n. 313 del 2006, nonché, successivamente, sentenze n. 233 del 2010 e n. 193 del 2010).

Posto che la disciplina sulla delimitazione temporale del periodo in cui è permesso il prelievo venatorio ha ad oggetto, oltre che l’individuazione dei periodi dell’anno in cui esso è consentito, anche i limiti orari nei quali quotidianamente detta attività è lecitamente svolta in relazione a determinate specie cacciabili, risulta evidente che la disposizione censurata, consentendo la caccia da appostamento fisso o temporaneo alla selvaggina migratoria ancora per mezz’ora dopo il tramonto del sole, così oltrepassando il limite ordinariamente fissato per questa dall’art. 18, comma 7, della legge n. 157 del 1992, costituisce violazione del livello apprestato dallo Stato nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma unico, della legge della Regione Liguria 29 settembre 2010, n. 15, recante «Modifica della legge regionale 6 giugno 2008, n. 12: Calendario venatorio regionale triennale e modifiche alla legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) e sue modificazioni e integrazioni».

Così deciso il Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2011.

F.to:

Paolo MADDALENA, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI

sabato 20 agosto 2011

Sovranità del Popolo e referendum elettorale

Giungono a me, come a tanti, sollecitazioni a un impegno per la raccolta di firme per un referendum abrogativo della legge elettorale, che avrebbe come effetto la sostanziale reintroduzione del sistema precedente.
Ritengo l’attuale legge elettorale pessima e anche incostituzionale (a Costituzione vigente), degna di un regime totalitario, non di una democrazia, per due ragioni di fondo: il premio di maggioranza a qualunque partito (o coalizione di partiti) sopravanzi anche di un voto gli altri, che può trovarsi così ad avere la maggioranza nella Camera dei Deputati, pur essendo lontanissimo dall’averla nel Paese e la trasformazione del massimo organo di rappresentanza del Popolo in un consiglio nominato dai “principi” di turno e da loro – non dal popolo – dipendente. Non dimentico, però, che la legge fu approvata con un’opposizione di pura facciata – non con l’Aventino che avrebbe meritato – e neppure l’uso entusiasta che ne è stato fatto come strumento per arrivare all’agognato bipartitismo – panacea, non si sa perché, di tutti i mali – da parte di Berlusconi e Veltroni, col ricatto del “voto utile” alle ultime elezioni politiche.
Anche alla luce di questo, la storia di questo referendum non mi piace affatto. Nasce, infatti, dalle ceneri di un altro – quello proposto da Passigli – che, chissà perché (?), non ha trovato alcun appoggio nei partiti.
Ma su questo tornerò più avanti.
Andiamo con ordine.
Il Comitato “Io firmo”, che – per primo – aveva proposto un referendum per l’abrogazione dell’attuale legge elettorale, ha desistito – il 27 luglio 2011 – dalla raccolta delle firme. La decisione è stata motivata da un presupposto rivelatosi errato: “considerata la disponibilità dei proponenti il secondo referendum (quello che ci si chiede oggi di sostenere) a non procedere oltre con la loro iniziativa”.
L’altro referendum va, invece, avanti, con la benedizione degli apparati dei partiti e dei “poteri forti”.
Perché?
Il Comitato “Io firmo” aveva proposto un referendum abrogativo dell’attuale legge elettorale, imperfetto – necessariamente – come tutti i referendum. Aveva, però, al suo centro un punto essenziale: quello di voler dare, nuovamente, ai cittadini la possibilità di scegliere i partiti – cioè le idee, i progetti politici – e, in questo quadro, le persone che li rappresentassero. È ovvio che, anche in un sistema proporzionale, alla fine le liste le decidono gli organi – o i potenti – dei partiti; nel deciderle, però, non possono non tener conto del fatto che il loro peso (quello dei partiti) – nel parlamento, nelle regioni, nei comuni etc. – dipenderà dai voti che la loro lista prenderà, dalla loro capacità di attrarlo, quel voto: il numero dei loro eletti nelle assemblee rappresentative dipenderà da questo, non dalla capacità di contrattazione tra ristretti gruppi. Dipenderà dagli elettori. E, soprattutto, saranno costretti – i partiti – a esistere, a vivere, a costruire il consenso e la partecipazione anche tra un’elezione e l’altra. Nel sistema uninominale – sia in quello a turno unico, che in quello a doppio turno – invece, a scegliere chi dovrà rappresentarli non sono gli elettori, ma gruppi ristretti, che decidono “chi” dovrà essere candidato “dove” (dove presumibilmente si vince, dove presumibilmente si perde).
Il modello dell’uninominale è nato molti secoli fa e ha creato – dov’è nato – nei secoli, sostanzialmente due partiti. In Italia, invece, è stato imposto, a freddo, col Mattarellum.
Tant’è che i due partiti non sono nati; è diminuita, però, la partecipazione popolare alle elezioni, si è deteriorata – perché ha perso il suo senso proprio – quella militante tra un’elezione e l’altra. Né ha garantito governi stabili: Berlusconi e Prodi sono caduti proprio in vigenza del “Mattarellum”.
In Italia, dopo quasi vent’anni, non esistono “due partiti” (in realtà, al di là della facile generalizzazione propagandistica, non esistono in nessuno dei Paesi occidentali). Esistono più partiti: più opzioni di governo della società, riferibili a quadri, complessivi, di valori e, anche, a rappresentanze – prevalenti – di alcuni gruppi (è difficile parlare di classi) sociali.
Perché “Partito” è una parola che ha due significati: quello di “apparato”, casta e quello (art. 49 Cost.) di “libera associazione di cittadini”, costituita “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Il “Partito” nel primo significato è il soggetto che agisce nel “Porcellum” e, anche, nel “Mattarellum”. Quello nel secondo è l’attore del sistema proporzionale. E sarebbe ora di dire, anche, che i costi della politica della cosiddetta prima Repubblica erano di molto inferiori a quelli di II-III. Per una ragione semplice: perché nella prima la politica era non solo “professione”, ma anche militanza, impegno civile. Certo, i partiti costavano; certo, c’era del marcio in Danimarca. Ma il “marcio” era “marcio”; la politica pretendeva di essere altro (e i cittadini pretendevano dalla politica di essere altro). D’altronde, né corruzione, né debito pubblico sono diminuiti.
Oggi quanto ci si ripropone è il Mattarellum.
Con l’uninominale, però (e anche questa è storia) si determinano due effetti, entrambi negativi. Il primo è la personalizzazione della politica: il rapporto tra elettore ed eletto da politico diviene unicamente personale. L’elettore non può scegliere un eletto che meglio di altri, nei limiti del possibile, rappresenti le sue idee: è chiamato a scegliere il suo “rappresentante”, quello che – nella medioevale Camera dei Comuni inglese – doveva andare a contrattare col Re l’ammontare dell’imposizione fiscale locale in cambio di una qualche contropartita. Può trovarsi a dover scegliere tra una onesta persona che politicamente non lo rappresenta e una con la quale non prenderebbe neppure un caffé, ma che fa capo allo schieramento in cui il partito che dovrebbe rappresentarlo è collocato. “Deve” scegliere tra Cristo e Barabba.
Ma è lui a scegliere, o altri?
Con l’uninominale, sia nel caso di doppio turno (dove gli accordi si fanno al II turno), sia in quello di turno unico, come nel “Mattarellum”, si divide l’Italia in piccoli collegi; in ciascuno di questi vince il candidato che prende più voti.
Il “Mattarellum” premia le coalizioni, quindi si devono fare accordi prima. Ma su che? Sui programmi? Anche, si spera. Ma anche, se non soprattutto, sulla spartizione dei candidati, nei vari collegi all’uninominale, in modo che, poi, in ciascun collegio, tutti gli elettori della coalizione votino anche per candidati di altri partiti. E chi la fa, la spartizione? Gli stati maggiori dei partiti. Più partitocrazia di così!
Né si dica che il proporzionale – quello corretto, almeno – attribuisce uno spoporzionato potere di veto ai piccoli partiti. Vale lo stesso – e di più – nel sistema uninominale, quando non esistono, perché non esistono, due partiti, ma solo due “coalizioni”, per le quali l’1-2% fa la differenza tra vincere e perdere.
La verità è che il sistema dei partiti-casta autoreferente si regge proprio sul maggioritario e/o sul Porcellum. Non a caso proprio un Parlamento eletto col Mattarellum ha approvato il Porcellum, rigettando con motivazioni risibili – non si votano gli emendamenti della maggioranza (motivazione DS) – l’emendamento che avrebbe lasciato le preferenze.
Né maggioritario né Porcellum assicurano né la stabilità, né l’incisività dei governi – e credo che di questo non sia necessaria dimostrazione alcuna. Perché, allora, non appoggiare la proposta di referendum che avrebbe reintrodotto proporzionale e preferenze, ben sapendo che “questi” referendum sono, più che altro, finalizzati a costringere il Parlamento a cambiare la legge, a porre i termini della discussione sulla legge?
La decisione del Comitato promotore “Io firmo” non l’ho condivisa: ha fatto sì che si riducesse la discussione alla scelta tra Porcellum e Mattarellum e questo chiude a una riflessione seria sulla democrazia e sull’Italia in cui ci riconosciamo e che vogliamo.
È stata una resa senza condizioni – e senza valide motivazioni – alla logica partitocratica, che – non a caso e violando il patto di non belligeranza – è immediatamente scesa in campo.
Non ci sto.

GIOVANNA MANCINI