sabato 13 settembre 2014

Petrolio e gas secondo il decreto “Sblocca Italia”


Le considerazioni che seguono hanno ad oggetto tre soli articoli del decreto-legge “Sblocca Italia”, pubblicato ieri sera in Gazzetta Ufficiale: gli articoli 36, 37 e 38, relativi agli idrocarburi liquidi e gassosi. Sono considerazioni che non ritengo definitive, in ragione della complessità della materia, dell’ambiguo linguaggio utilizzato dai redattori e soprattutto del fatto che più tempo occorrerebbe per verificare quali disposizioni della frammentaria normativa finora vigente sia stata effettivamente interessata dal decreto ossia abrogata. Compito, questo, che richiede un tempo di gran lunga superiore a quello speso da chi ha scritto i tre articoli. Spero comunque che le seguenti osservazioni possano essere utili per avviare un dibattito sulle conseguenze che discenderanno dal decreto. 

Ai fini dell’allentamento del patto di stabilità interno, l’art. 36 prevede che il complesso delle spese finali delle Regioni sarà determinato (anche) dalle spese da queste sostenute per favorire lo sviluppo occupazionale, lo sviluppo delle attività economiche, il miglioramento ambientale in aree interessate da ricerche e concessioni di coltivazione di idrocarburi e per finanziare strumenti relativi alle attività petrolifere. Gli importi esclusi dal patto di stabilità saranno tuttavia determinati annualmente dal Ministero dello Sviluppo Economico, riguarderanno solo quattro anni (2015, 2016, 2017, 2018) e avranno ad oggetto solo la differenza tra quanto prodotto negli anni 2014, 2015, 2016 e 2017 e quanto prodotto nel 2013 (a patto che vi sia stato un incremento della produzione, si intende). Per l’utilizzo delle royalties fuori dai casi sopra elencati sarà, invece, la legge di stabilità per il 2015 a definire il limite dell’allentamento del patto di stabilità interno. Compatibilmente, precisa il decreto, con gli obiettivi di finanza pubblica.

Tutto ciò che riguarda il gas riveste carattere strategico: non solo per l’Italia, si legge all’art. 37 del decreto, ma anche per l’Europa. Gasdotti di importazione del gas dall’estero, terminali di rigassificazione, stoccaggi e infrastrutture di trasporto dovranno essere realizzati rapidamente (i progetti sono per il decreto “indifferibili e urgenti”), costituendo essi una priorità di carattere nazionale. Il decreto li definisce di “pubblica utilità”. Questo giustificherebbe l’apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione di qualsiasi bene e la variazione ex lege non solo degli strumenti urbanistici, ma anche dei “piani di gestione e di tutela del territorio comunque denominati”: con buona pace, dunque, dei piani di bacino, di tutela delle acque, ecc. In questo modo, le competenze degli Enti territoriali transiterebbero in capo allo Stato e la deroga al riparto delle competenze resterebbe giustificata dalla qualificazione della strategicità dei progetti.
Tra le altre novità, le Centrali e gli altri impianti di combustione “facenti parte della rete nazionale dei gasdotti con potenza termica di almeno 50 MW” saranno soggetti ad AIA statale.

Ma strategica, più in generale, diviene ogni attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, così come quella di stoccaggio sotterraneo di gas naturale.
A tal riguardo, l’art. 38 afferma che i decreti autorizzativi di quelle attività (prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio sotterraneo del gas) dovranno contenere: 1) la dichiarazione di pubblica utilità; 2) la dichiarazione di indifferibilità e urgenza dell’opera; 3) l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni compresi nell’opera.
Per la verità, anche la normativa (finora) vigente discorre di pubblica utilità (e di effetto di variante urbanistica derivante dal rilascio del titolo), ma limita ragionevolmente tutto questo alla sola ricerca di idrocarburi con la tecnica del pozzo esplorativo (e alle opere connesse) e agli impianti necessari alla attività di estrazione del petrolio e del gas. Il decreto del Governo, invece, sembra voler estendere la previsione del vincolo preordinato all’espropriazione in modo “generalizzato” e “automatico” addirittura alle attività di prospezione e di ricerca. Interpretato così rigidamente, esso sarebbe, però, di dubbia legittimità. L’interpretazione preferibile (almeno si spera) sarebbe un’altra: che, cioè, i decreti del ministero che autorizzino l’esercizio di quelle attività contengano l’esatta individuazione del bene sul quale graverebbe il vincolo preordinato all’esproprio; diversamente, incidendo il vincolo sulla proprietà del privato e non consentendogli di esercitare i diritti che gli derivano dall’essere proprietario (es. edificabilità), ci troveremmo dinanzi ad una autentica assurdità: sarebbe, infatti, inconcepibile che su tutta l’area destinata alla ricerca di idrocarburi i proprietari dei fondi non possano fare alcunché in attesa che scada il termine del vincolo (forse sette anni, in quanto dovrebbe applicarsi la legge n. 70 del 2011, riguardante le opere strategiche).
La valutazione degli effetti che tali attività avranno sull’ambiente sarà di competenza dello Stato. E i procedimenti VIA non conclusi dalle Regioni entro il 31 dicembre 2014 saranno conclusi dallo Stato.

Un’altra importante novità riguarda il rilascio del titolo concessorio unico, che ricomprende sia la ricerca sia la coltivazione (e la prospezione?): sei anni la ricerca (prorogabile per due volte per un periodo di tre anni) e trenta anni la coltivazione (prorogabile per una o più volte per un periodo – massimo? – di dieci anni). Il titolo è rilasciato dal Ministero dello Sviluppo Economico, a seguito di un procedimento unico, che si svolge entro centottanta giorni in sede di conferenza di servizi (nella la quale è acquisita anche la valutazione ambientale strategica). Resta l’intesa da stringere con la Regione interessata (che probabilmente sarà chiamata a rilasciarla in conferenza). La VIA sulle attività di perforazione e di realizzazione degli impianti dovrà concludersi entro sessanta giorni dalla presentazione delle domande. Tutto questo troverà applicazione anche ai procedimenti in corso se le compagnie petrolifere lo richiederanno entro novanta giorni dall’entrata in vigore dello “Sblocca Italia”. Anche se occorrerà poi attendere il disciplinare tipo del Ministero dello Sviluppo Economico per capire in che modo saranno conferiti i nuovi titoli e in che modo si eserciteranno le attività relative.
La previsione di un titolo unico desta forti dubbi di legittimità, sia in relazione al diritto dell’Unione europea sia in relazione al diritto di proprietà dei privati ex art. 42 Cost. (su questo mi permetto per il momento di rinviare al mio saggio pubblicato in Petrolio, Ambiente, Salute, Giulianova, Galaad Edizioni, 2013).
Il decreto sembrerebbe, poi, dare il via libera alle attività petrolifere nelle acque del Golfo di Napoli, del Golfo di Salerno e delle Isole Egadi, attraverso una previsione che, solo apparentemente, parrebbe dettata da ragioni di tutela ambientale. Questa conclusione la si trae dal fatto che la procedura disciplinata all’art. 38, comma 9, si applica “ai titoli minerari (dunque già rilasciati) e (anche) ai procedimenti di conferimento”, ricadenti nelle aree di cui all’articolo 4, comma 1, della legge n. 9 del 1991 (che sono appunto relative, oltre al Golfo di Venezia, al Golfo di Napoli, al Golfo di Salerno e alle Isole Egadi).
Resta, infine, il comma 10 dell’art. 38: esso è relativo alle risorse nazionali di idrocarburi in mare “localizzate in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di ricerca e coltivazione di idrocarburi” (cosa si intenda, però, con “prossimità” non è affatto chiaro). Con questa previsione si finisce per derogare al divieto di esercizio di nuove attività in mare, che ricadano entro le 12 miglia marine dalla costa. Individuate tali risorse, il Ministero dello Sviluppo Economico può, infatti, autorizzare per massimo cinque anni (prorogabili per altri cinque) progetti “sperimentali” di coltivazione di giacimenti di idrocarburi (sentite le Regioni).


Enzo Di Salvatore