mercoledì 19 novembre 2014

Oltre Genova: dall’appello dei genitori liguri alla nuova responsabilità

Una settimana fa, il 12 novembre, a seguito della seconda delle tre devastanti alluvioni in Liguria in poco più di trenta giorni, è stato indirizzato al prefetto di Genova Fiamma Spena, in qualità di rappresentante del governo nella Provincia, l’appello sottoscritto da un gruppo regionale spontaneo di genitori perché l’autorità si faccia loro portavoce presso l’organo esecutivo e venga posto in essere un piano d’azione di interventi di tutela e messa in sicurezza del territorio, nonché di definitivo rinnovamento degli edifici scolastici.
Un appello che, nell’immediatezza della forma, è una più che mai chiara invocazione alla programmazione e pianificazione di improrogabili misure strutturali di “lungo respiro”.
Un richiamo affinché si proceda all’adozione di risolutivi provvedimenti tesi a ricondurre il concetto d’allerta nel naturale canone dell’eccezionalità e venga riconsegnato “il territorio” ad una indispensabile normalità contestuale; ma anche un monito alla stessa classe politica miopie che, sul dissesto idrogeologico, celebra la retorica della necessità dell’agire in prevenzione mentre “sblocca” urgenti attività d’intervento pertinente e nuove opere “strategiche” di cementificazione nazionale.
Sosteneva lucidamente, meno di una settimana fa, l’europarlamentare Barbara Spinelli che “Mettere in sicurezza il territorio significa finanziare un piano di opere diffuse, partendo dai Piani di gestione del rischio di Alluvione – prescritti fra l’altro dalla Direttiva 2007/60/CE – così da uscire dalla logica della perenne emergenza, dei piani straordinari, dei commissari speciali, delle procedure in deroga e del regolare malaffare”.
A lei ha fatto eco la geologia che, nel rievocare le conseguenze dell’edificazione selvaggia, del grado del dissesto e l’entità della dimensione di rischio, si è espressa con giudizi ancor più grevi: “In una normale evoluzione del territorio i versanti franano, i fiumi scorrono ed esondano. Ma una pericolosità si trasforma in rischio quando noi interferiamo con esso […] Non abbiamo mai considerato l’evoluzione del territorio come fatto normale. Abbiamo pensato di [dover] essere noi […] ad agire su di lui […] ed oggi ne paghiamo le conseguenze” [cfr. G.V. Graziano, in wisesociety.it, 13.11.2014].
Sulla medesima traccia le dichiarazioni rilasciate in settimana su «La Stampa» da Fabio Luino, dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del Cnr, quando sulla specificità ligure ha sostenuto che “la Liguria si potrebbe salvare solo abbattendo ciò che è stato costruito nel posto sbagliato”. Una considerazione certamente da stato terminale, che contempla, quale unica soluzione, in uno slancio d’estrema razionalità forse ed assolutamente fuori da improbabili fatalismi, il necessario ripristino coatto delle condizioni di “normalità” fisica dei territori.
Il dato inequivocabile è, comunque, quello espresso dai numeri complessivi raccolti nelle analisi sul rischio idrogeologico, con 28 milioni di italiani dimoranti in territori ad elevato o medio pericolo, 1 milione e 260 mila edifici (dei quali oltre 6000 scolastici); 6633 comuni sugli 8071 totali [dal Report del Ministero Ambiente 2008], la quasi totalità – tra il 98 ed il 100% – degli stessi sono sotto minaccia di frane o alluvioni in 10 Regioni e, con una superficie pari a quasi 30.000 Kmq, il 9.8% dell’intero territorio nazionale è ad alta criticità idrogeologica. [dal Rapporto Ecosistema-Rischio 2013, della Protezione Civile].
Ciò che galleggia esanime su questo flusso ininterrotto d’acqua e di fango pare essere lo stesso Paese, o parte dei suoi resti, dopo mezzo secolo di previsioni autorizzatorie irresponsabili e il dilagante abusivismo edilizio.
La stessa irresponsabilità, con la quale si è “condizionato” il territorio con impermeabilizzazioni diffuse, cementificazione intensiva, scelte volumetriche troppo spesso irragionevoli, in una degenerata compartecipazione al consumo del suolo tra “interessi” pubblici e privati, offre, in termini più generali e nell’immagine delle odierne frane e voragini, la “metafora minacciosa di un paese che sta crollando a livello politico, economico e sociale” [Mumelter, in Internazionale.it, 17.11.2014].
In questo senso l’appello dei genitori liguri pare essere molto più di un richiamo alla tragica contemporaneità, quindi; è una invocazione a nuova “responsabilità”, esprime una tensione ideale che travalica lo spazio ed il tempo presente e si universalizza, mettendo in luce quella “essenziale dimensione interpersonale e dialogale dell’esperienza etica”, “la convinzione che la libertà umana è tenuta a rispondere delle proprie decisioni […] alle generazioni che verranno e le cui condizioni di vita materiali e culturali dipenderanno da comportamenti posti da noi, qui, adesso” [C.M. Martini, Non temiamo la Storia, Milano-Casale Monferrato, 1992].


Stefano Pulcini

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