Nelle scorse settimane il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha
incontrato alcuni leaders europei e ha illustrato loro il pacchetto di riforme
costituzionali che il Governo vorrebbe far approvare dal Parlamento. Angela
Merkel e François Hollande – ha dichiarato Renzi – si sono detti “colpiti” da
tale proposito, perché “è il segno che l’Italia è pronta a fare la sua parte
nel percorso di cambiamento in corso”: “come possiamo essere credibili a
chiedere un’altra Europa se da trent’anni la discussione sul bicameralismo è
sempre quella?”.
La domanda che occorrerebbe porre al Presidente Renzi è la
seguente: “Cosa dovrebbe importare alla Merkel e a Hollande delle nostre
riforme costituzionali?”. Non si capisce, infatti, perché dovremmo essere più
credibili sul piano europeo se, dico per dire, il Governo italiano, anziché
trovare una qualsivoglia soluzione alla corruzione dilagante e all’evasione
fiscale, dichiari solennemente il proprio impegno a modificare il sistema
parlamentare italiano e le relazioni che lo Stato intrattiene con le autonomie
territoriali. Ciò, almeno, non è di immediata evidenza. È sufficiente,
tuttavia, leggere il disegno di legge di revisione costituzionale approvato il
31 marzo in Consiglio dei Ministri per capirne il perché.
L’art. 114 della Costituzione, com’è noto, afferma che “La
Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane,
dalle Regioni e dallo Stato” e che “I Comuni, le Province, le Città
metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e
funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”. Con questa
dichiarazione – introdotta nel 2001 – si era inteso dire che l’autonomia degli
Enti locali dovesse dipendere non più dalla legge dello Stato, ma dalla
Costituzione; ciò avrebbe accordato agli Enti locali la possibilità di definire
da se medesimi lo statuto, i poteri e le funzioni. Tale autonomia, tuttavia,
conosceva taluni temperamenti, ricavabili dalla stessa Carta costituzionale, in
quanto l’art. 117, comma 2, lett. p) attribuiva allo Stato la competenza a
disciplinare con legge gli “organi di governo” e le “funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane”.
Il testo licenziato ora dal Governo tenta di far rientrare dalla
finestra quello che si era voluto buttare fuori dalla porta: il disegno di
legge costituzionale vorrebbe, infatti, affidare al Parlamento la competenza ad
intervenire con legge in materia di ordinamento
locale tout court. La qual cosa finirebbe per ridurre di molto l’autonomia
costituzionale degli Enti locali, fino al punto da vanificarne la stessa
essenza.
Guardiamo a quel che accade sul fronte delle relazioni dello Stato
con le Regioni. Circa il nuovo riparto delle competenze legislative, il disegno
di legge del Governo attribuisce nuove materie in capo allo Stato: oltre a
riconfermare nelle mani dello stesso l’ambiente
e l’ecosistema, l’art. 117 della
Costituzione affida al Parlamento anche la competenza esclusiva sui beni culturali e paesaggistici, sulle norme generali sulle attività culturali,
sul turismo, sull’ordinamento sportivo, sulla produzione, trasporto e distribuzione
nazionali dell’energia, sulle norme
generali sul governo del territorio, sulle infrastrutture strategiche. Se si provasse a fare un “mix” tra
tutte queste “materie”, si comprenderebbe chiaramente quale sia l’obiettivo perseguito
dal Governo: dare il via libera alla realizzazione delle c.d. “grandi opere”,
comprese quelle controverse e contestate soprattutto dalle collettività locali.
Si pensi al MUOS in Sicilia o ad Ombrina mare in Abruzzo.
A cosa serve, dunque, ricondurre in capo allo Stato la
competenza legislativa su tali “materie”? Ad evitare che le Regioni possano
legiferare sulle stesse e a far saltare le garanzie che la Corte costituzionale
aveva individuato in favore delle autonomie territoriali. Mi limito a
considerare la materia energetica. Sebbene la riforma costituzionale del 2001
abbia attribuito l’energia alla competenza concorrente dello Stato (chiamato a
stabilire i principi fondamentali) e della Regione (chiamata a disciplinare il
dettaglio), la Corte costituzionale ha da tempo sostenuto che lo Stato possa sì
disciplinare per intero la materia energetica in presenza di interessi di
carattere unitario, ma a condizione che alle Regioni sia lasciata la
possibilità di esprimersi sulle scelte energetiche effettuate a Roma attraverso
lo strumento dell’intesa. Con il disegno di legge di revisione costituzionale
questa (implicita) garanzia verrà, invece, meno. L’intesa della Regione,
infatti, si configura come una sorta di compensazione per la “perdita” di
competenza dovuta alla decisione dello Stato di attrarre a sé la competenza
sulla materia energetica. Detto altrimenti: la competenza sull’energia è –
secondo la Costituzione vigente – dello Stato e della Regione ad un tempo.
Esigenze di carattere unitario – collegate a ragioni di politica economica
nazionale – impongono, tuttavia, che solo lo Stato provveda in materia. Questa
decisione – perché possa ritenersi legittima – impone che le Regioni (e anche
gli Enti locali) siano coinvolti nei processi decisionali. Se passerà il
pacchetto delle riforme tale coinvolgimento non sarà più costituzionalmente
necessario.
Ma
non è tutto. Il testo licenziato dal Governo stabilisce, inoltre, che “su proposta del Governo, la legge dello Stato può
intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva
quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della
Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi o di riforme
economico-sociali di interesse nazionale”. In questo modo, come si vede,
nessuna delle materie di competenza regionale resterà immune dall’intervento
statale. Lo Stato potrà intervenire sempre, in ogni tempo, solo perché magari il
Governo avrà valutato che l’esercizio della competenza legislativa della
Regione possa compromettere la realizzazione di taluni (non meglio precisati)
“programmi”.
Ecco, mi pare abbastanza chiaro perché la Merkel e Hollande dichiarino
di essere favorevolmente “colpiti” dalle riforme di Renzi. Perché tali riforme vanno
esattamente nella direzione da loro auspicata ovvero tendono a rimuovere tutti
quei lacci e lacciuoli, che si frappongono ad una rapida e unilaterale
decisione dello Stato (indotta, magari, da una “richiesta” dell’Europa). Lacci
e lacciuoli che in altri tempi, e con una parola sola, si sarebbero chiamati
“democrazia”. Ma, se così fosse, allora qualche dubbio di compatibilità del
disegno di legge con il principio fondamentale di garanzia (sostanziale)
dell’autonomia recata in favore degli enti territoriali ex art. 5 Cost. andrebbe seriamente posto.
ENZO DI SALVATORE
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