giovedì 21 marzo 2013

COMUNICATO STAMPA DEL COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV


In merito al progetto di legge presentato dai deputati abruzzesi del PD, con cui si intende modificare l’art. 6, comma 17, del codice dell’ambiente (nel testo risultante dalla modifica effettuata con il “Decreto sviluppo” del 2012), il Coordinamento nazionale No Triv esprime un giudizio moderatamente positivo.

Il progetto in questione conferma il divieto di esercitare attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare nelle aree marine e costiere protette così come nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. “Al di fuori delle medesime aree”, le predette attività resterebbero, invece, autorizzate previa valutazione di impatto ambientale e sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle suddette attività (art. 1, comma 2).

La perplessità principale che il progetto suscita riguarda il comma 2 dell'art. 1, ove si dichiara che “sono privi di efficacia tutti gli atti adottati in attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 35, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 e quella di entrata in vigore della presente proposta di legge”.

Questa previsione appare illegittima, in quanto, qualora nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del decreto Prestigiacomo e l’entrata in vigore della legge proposta fossero stati adottati provvedimenti autorizzatori, le società petrolifere, pienamente tutelate nel loro legittimo affidamento, potrebbero citare in giudizio lo Stato per il risarcimento dei danni arrecati.

Per questa ragione si ritiene opportuno eliminare dal progetto di legge il secondo comma e proporre, proprio al fine di scongiurare che a seguito del riavvio dei procedimenti si giunga al rilascio di un titolo abilitativo, l’adozione di un decreto-legge da parte del (prossimo) Governo. Il decreto, sostenuto da evidenti ragioni di necessità ed urgenza e ferma comunque l’efficacia dei titoli già rilasciati, potrebbe legittimamente intervenire sui procedimenti in corso. Contestualmente occorrerebbe procedere all’istituzione di un tavolo nazionale e avviare un confronto con tutti i soggetti interessati, al fine di discutere sull’opportunità di giungere all’approvazione di una nuova organica e sistematica disciplina degli idrocarburi.

Il Coordinamento nazionale No Triv ritiene opportuno che la futura disciplina degli idrocarburi si colleghi ad un “piano nazionale di programmazione”, sulla base di quel che ammette la direttiva 94/22/CE. Questa, infatti, consente allo Stato di decidere quali parti del proprio territorio aprire o chiudere alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi e di limitare dette attività per ragioni di tutela ambientale, di tutela della salute, ecc. (anche in considerazione della peculiare geomorfologia del territorio italiano).

D’altra parte, in conformità all’art. 41 della Costituzione, l’iniziativa economica privata è certamente libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale oppure in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Una diversa prescrizione, invece, risulta dettata per la tutela costituzionale dell’ambiente e della salute, non condizionate ad alcun limite e perciò ritenute assolute.

Più in generale – sul piano delle riforme istituzionali – sarebbe indispensabile tenere vivo e aperto il dibattito intorno alla palesata volontà di riscrittura del Titolo V della Costituzione.

Da questo punto di vista, il disegno di legge di revisione della Costituzione presentato lo scorso anno dal Governo Monti – sebbene decaduto con la fine della Legislatura – non può dirsi condivisibile. Esso, infatti, avrebbe voluto cancellare dalla legislazione concorrente Stato/Regioni la materia dell’energia e riportarla nelle mani dello Stato. Tornare al centralismo di Stato sarebbe, però, antistorico ed oltremodo pericoloso. Occorrerebbe, invece, invertire il senso di marcia. Avere più coraggio. Ritrovare la strada del “federalismo”.

Occorrerebbe superare, intanto, il “bicameralismo perfetto” e trasformare il Senato della Repubblica in una Camera delle Regioni, composta di delegati regionali e non di eletti. Ciò non solo avrebbe immediati riflessi sulla questione dei costi della politica, atteso che i delegati sarebbero già retribuiti dalle Regioni, ma darebbe vita a una più proficua collaborazione tra il livello statale e quello regionale a partire dalla sede legislativa. In questo modo, si avrebbe anche una riduzione del contenzioso costituzionale, atteso che le Regioni, contribuendo alla elaborazione della legislazione dello Stato, sarebbero partecipi delle scelte politiche assunte.

Entro questa prospettiva la materia energia e quella della tutela dell’ambiente troverebbero una differente collocazione. Nel primo caso, essendo la materia strettamente collegata alla politica economica nazionale, l’energia potrebbe essere disciplinata in via esclusiva dallo Stato (con la collaborazione della Camera delle Regioni).

Per quanto concerne, invece, la tutela dell’ambiente, questa potrebbe essere disciplinata in modo inedito, sulla scorta del modello adottato in Germania nel 2006 (potestà legislativa derogatoria).

La legge sulla tutela dell’ambiente sarebbe adottata dal Parlamento, sempre con la collaborazione della Camera delle Regioni. Le Regioni, tuttavia, entro un certo termine stabilito dal Parlamento, potrebbero parzialmente derogare alla disciplina nazionale, ma solo a condizione che accordino all’ambiente una tutela maggiore. Ciò, peraltro, sarebbe anche conforme all'orientamento ormai abbracciato dalla Corte costituzionale italiana.

Il Coordinamento No Triv auspica che chiunque sia interessato fornisca il proprio parere al riguardo, affinché si avvii un proficuo confronto sul tema, in modo da neutralizzare gli effetti più minacciosi insiti nella Strategia energetica nazionale, restituire piena sovranità democratica alle collettività territoriali finora estromesse da ogni decisione politica e preparare il terreno per un progressivo e definitivo passaggio alle energie rinnovabili.

COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV

Per conto del Coordinamento nazionale No Triv:
Giuseppe Macellaro
Tel. 3313859277

venerdì 15 marzo 2013

Strategia energetica nazionale e petrolio


(tratto dal documento relativo alla “Strategia energetica nazionale”, approvato con decreto interministeriale dell’8 marzo 2013)

(p. 111 ss.)

Produzione idrocarburi – gli obiettivi

“In particolare, 5 zone in Italia offrono un elevato potenziale di sviluppo: la val Padana, l’Alto Adriatico, l’Abruzzo, la Basilicata e del Canale di Sicilia.
L’Italia ha inoltre sviluppato un forte settore industriale nell’ indotto upstream, con notevoli tradizioni, competenze e presenza internazionale. Il settore conta oltre 120 società attive, più di 65.000 occupati, un giro di affari nel 2010 di oltre 20 miliardi di euro, di cui 5,5 miliardi di euro solo in Italia, e una spesa in ricerca e sviluppo di 300 milioni di euro.
Inoltre, il settore upstream italiano si distingue per le migliori pratiche e risultati di sicurezza e di protezione ambientale, potendo vantare – ad esempio – performance di assoluta eccellenza sia relativamente alle fasi di perforazione che di coltivazione dei campi.
L’opportunità di mobilitare investimenti in questo ambito è stata però limitata da un contesto normativo e da un processo decisionale che hanno rallentato o fermato molte iniziative nel corso dell’ultimo decennio: i tempi di attesa autorizzativa arrivano ad essere fino a 10 volte quelli previsti da normativa, sia in fase di esplorazione che di produzione, e sono molto più elevati delle medie mondiali. Negli ultimi anni si è assistito ad un marcato peggioramento dei tempi di attesa autorizzativa. In particolare, vi sono 3 principali criticità:
La complessità e i tempi lunghi del sistema autorizzativo. Ad esempio, in Italia l’attività di esplorazione e produzione si svolge in seguito all’acquisizione di 2 o 3 titoli autorizzativi distinti (a seconda dei casi). Gli iter autorizzativi di altri Paesi europei (ad esempio Norvegia o Inghilterra) prevedono il conferimento di un titolo abilitativo unico rilasciato su un’area preventivamente individuata e valutata dalle autorità competenti. Anche la recente proposta di direttiva europea in materia sopprime la distinzione tra procedure di autorizzazione per l'esplorazione e per la produzione, giudicandola contraria alla prassi.
Inoltre, l’iter autorizzativo include intese tra Stato e Regioni, senza un termine ultimo per l’espressione di pareri, mentre in tutti i Paesi produttori le decisioni di licensing sono in capo al decisore centrale. E’ da osservare che il forte rallentamento nell’attività esplorativa e produttiva italiana si è verificato dopo il 1999, con l’introduzione delle riforme costituzionali che hanno modificato il ruolo rispettivo di Stato e Regioni nel processo decisionale.
Le limitazioni per le attività offshore. Le attività offshore sono profondamente condizionate dai divieti introdotti dal decreto legislativo n.128/2010 (cosiddetto “correttivo ambientale”) che ha interdetto tali attività in molte aree, bloccando di fatto la maggior parte delle attività di ricerca e sviluppo offshore e cancellando progetti per 3,5 miliardi di euro. Nessun Paese europeo ha adottato norme analoghe: ad esempio, in Norvegia non vigono divieti generalizzati ma sono state identificate alcune aree (come le Lofoten) interdette per specifiche ragioni ambientali –cosa che è comunque garantita anche in Italia dalla normativa a difesa delle aree protette, su cui il Governo intende mantenere la massima attenzione.

Le iniziative
Per il raggiungimento degli obiettivi citati sono necessari sia provvedimenti di tipo normativo, che garantiscano il rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale e semplifichino gli iter autorizzativi, sia iniziative di supporto al settore industriale, per favorire l’ulteriore sviluppo dei poli tecnologici. È necessario più in generale che le opportunità di nuovi investimenti e le esigenze ambientali non siano posti in contrapposizione a priori, ma che si valutino le opere in base ad analisi scientifiche rigorose e coinvolgendo enti locali e popolazione, così da procedere – nei casi in cui risulti possibile – fornendo tutte le indispensabili garanzie in termini di sicurezza e di tutela dell'ambiente.

I principali interventi di carattere normativo si propongono di:

Rafforzare le misure di sicurezza delle operazioni, in particolare attraverso l’implementazione delle misure di sicurezza offshore previste dalla proposta di direttiva europea. Inoltre, il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di shale gas.

Adeguare gli iter autorizzativi ai nuovi standard europei (Direttiva sulla sicurezza offshore in corso di emanazione): in particolare, per garantire la richiesta separazione tra il soggetto responsabile della gestione amministrativa e autorizzativa e l’autorità competente in materia di vigilanza, con decreto legge 83/2012, convertito, è stato garantito il necessario finanziamento della nuova struttura di vigilanza. Inoltre, si ritiene opportuno adottare, nell’ambito di una generale revisione e semplificazione della normativa di settore, un modello di conferimento di un titolo abilitativo unico per esplorazione e produzione.

Sviluppare le ricadute economico-occupazionali sui territori interessati. In tal senso, una quota delle maggiori entrate per l’estrazione di idrocarburi sarà destinata allo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e dei territori limitrofi, come introdotto recentemente con il ‘DL Liberalizzazioni’.
Fermi restando i limiti di tutela offshore definiti dal Codice Ambiente (recentemente aggiornato), sviluppare la produzione, in particolare quella di gas naturale, conservando margini di sicurezza uguali o superiori a quelli degli altri Paesi UE e mantenendo gli attuali vincoli di sicurezza e di tutela paesaggistica e ambientale. In questo ambito, nel recente DL Crescita di giugno 2012, si è creato un fondo per il rafforzamento delle attività di monitoraggio ambientale e di sicurezza e tutela del mare finanziato con un aumento delle aliquote di prodotto (‘royalties’) e si è stabilita uniformità nell’individuazione delle aree interdette alle attività minerarie, sia ad olio sia a gas, ovvero nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalla linea di costa e dalle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale. Nello stesso provvedimento si è anche introdotta una norma che salvaguarda i titoli abilitativi già rilasciati e i procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del Dlgs 128 (29 giugno 2010): con quest’ultima si intende valorizzare le riserve già rinvenute, prevalentemente di gas naturale, eliminare contenziosi con operatori che hanno già realizzato infrastrutture, ed evitare costi per risarcimenti/compensazioni agli operatori e/o per il decommissioning a carico dell'Amministrazione per lo smantellamento ed il ripristino di impianti produttivi mai entrati in esercizio.
Rendere disponibili i dati e le informazioni tecniche relative alle ricerche geofisiche ed alle perforazioni già effettuate, al fine di promuovere lo sviluppo delle risorse naturali e rendere fruibili per la comunità scientifica i dati di sottosuolo, in maniera trasparente ed affidabile.
Agli interventi di natura normativa, sarà importante accompagnare iniziative di supporto al sistema, favorendo il rafforzamento dei poli tecnologici e industriali: la produzione di idrocarburi ha portato alla nascita di distretti energetici in Emilia Romagna, Lombardia, Abruzzo, Basilicata e Sicilia, che potrebbero essere rilanciati coerentemente con l’ulteriore sviluppo delle attività minerarie, ad esempio:

L’Emilia Romagna e la Lombardia, già in posizioni di avanguardia a livello mondiale, potrebbero sviluppare ulteriormente il loro ruolo di centro di eccellenza tecnologico.

In Abruzzo, dove hanno sede alcune delle principali società di servizio in ambito petrolifero, le attuali sedi potrebbero essere utilizzate come basi logistiche per lo sviluppo di nuove attività estrattive nel Sud Italia.

La Basilicata, che riveste un ruolo strategico in materia di politica energetica nazionale, presenta un potenziale industriale ancora da valorizzare. Le misure di intervento saranno incentrate sullo sviluppo di infrastrutture e servizi, il potenziamento del tessuto industriale tale da facilitare il trasferimento di attività economiche, la velocizzazione del processo autorizzativo e lo sviluppo di un sistema amministrativo adeguato alla dimensione dell’industria e dei suoi investimenti.

L’ulteriore sviluppo del settore petrolifero siciliano potrebbe concentrarsi sul potenziamento delle attività estrattive, lo sviluppo delle strutture portuali, la crescita della cantieristica navale che potrebbe costituire un forte volano per il potenziamento dell’indotto e dalla quale anche le attività minerarie potrebbero trarre giovamento, soprattutto per il settore dell’impiantistica offshore, con significative ricadute occupazionali.
Tra i fattori abilitanti per il rilancio della produzione, viene infine considerato fondamentale il miglioramento delle attività di supporto del MiSE, che ha avviato una revisione delle attività interne di ‘Project Management’ del processo autorizzativo, con l’allocazione di ulteriori risorse umane e strumentali da destinare alla gestione dei progetti e agli aspetti connessi ai rapporti con il territorio”.

lunedì 11 marzo 2013

ENERGIA, AMBIENTE, DEMOCRAZIA



EVENTO FACEBOOK : http://www.facebook.com/events/601046643242487/


il Coordinamento nazionale NO Triv

presenta

ENERGIA, AMBIENTE, DEMOCRAZIA
tra proposte di modifica della Costituzione e approvazione della nuova strategia energetica nazionale


Con la partecipazione di

Enzo Di Salvatore
Università degli Studi di Teramo 


Interventi programmati degli aderenti al Coordinamento nazionale No Triv:

Enrico Gagliano (Abruzzo)
Giuseppe Macellaro (Basilicata)
Giovanna Bellizzi (Puglia-Basilicata-Calabria)
Vincenzo Nitti (Campania)
Ezio Corradi (Lombardia)
Fabrizia Arduini (Abruzzo)
Maurizio Acerbo (Consigliere regionale PRC - Abruzzo)
Emanuele Mancinelli (Movimento arancione - Abruzzo)

Interventi non programmati dei rappresentanti delle Istituzioni, delle forze politiche e dei cittadini presenti in sala

DIBATTITO

L'incontro è aperto a tutti

Auditorium "Petruzzi" - Via delle Caserme, 22 - PESCARA


Aderiscono all'evento: Alternativa Ribelle, Abruzzo 3.0, Espressione Libre, Comitato Abruzzese Difesa Beni Comuni, OfficinArt, Officine Indipendenti, Factory Mashup, Caffè d'Abruzzo
con il sostegno del gruppo consiliare PRC - Regione Abruzzo



Sarà inoltre allestita la mostra di arte postale NO AL PETROLIO IN ABRUZZO, a cura di Maura Di Giulio.


venerdì 8 marzo 2013

Ombrina mare e il parere negativo della Regione


Che la Regione Abruzzo non abbia rilasciato il proprio parere sul progetto di Ombrina mare non dovrebbe sorprendere nessuno. Nel luglio dello scorso anno avevo osservato come la Regione Abruzzo non rilasci pareri almeno dal 2008. Che la Regione sostenga, però, che il Ministero dell’ambiente non le abbia mai formalmente chiesto di esprimersi su Ombrina mare sorprende e non poco. Vien da pensare: vuoi vedere che è dal 2008 che il Ministero non si cura di sapere cosa pensi la Regione sui progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale?
Ma se così fosse, nessun problema: ci sarebbe un motivo in più per ricorrere al Tar contro il decreto VIA una volta adottato.
Nell’assemblea pubblica organizzata dal WWF e tenutasi qualche giorno fa a Chieti il Presidente Chiodi si è impegnato pubblicamente a far di tutto per fermare il progetto della Medoilgas: parlare con quelli del Ministero, impugnare il Decreto VIA dinanzi al Tar, sostenere la presentazione di un progetto di legge che inasprisca i divieti per le attività petrolifere in mare, fino a portarli dalle attuali 12 miglia marine a 100/150 miglia (ed io che credevo che la sovranità dello Stato si arrestasse alle 12 miglia marine…).
Si apprende oggi dalla stampa che il Presidente Chiodi si è recato ieri presso il Ministero dello sviluppo economico e che in quella sede il Ministero ha acquisito il parere negativo della Regione. Un parere – si legge sui quotidiani – di cui il Ministero terrà senz’altro conto. Tanto da aver deciso di riaprire il procedimento e di approfondire la questione.
Ora, delle due l’una: o si pecca di ingenuità o si è fin troppo avveduti.
A fronte di una richiesta di parere da parte del Ministero, la Regione può assumere tre diverse posizioni: rilasciare un parere positivo, rilasciare un parere negativo, far finta di niente. In ogni caso, e cioè quale che sia la posizione assunta, il Ministero può comunque adottare il Decreto VIA. Il parere è infatti obbligatorio, ma non vincolante. Ma obbligatorio qui vuol dire: il Ministero deve comunque richiederlo. Dunque, le cose starebbero diversamente se – come sostiene la Regione – il Ministero non le avesse mai chiesto di esprimersi sul progetto di Ombrina mare. In questo caso il procedimento sarebbe illegittimo. E se la Regione avesse proposto ricorso al Tar avrebbe avuto ottime probabilità di vincere quel ricorso.
Vero è che la legge sul procedimento amministrativo stabilisce che non sia “annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. E però è altrettanto vero che, se la Regione avesse dimostrato davanti al Tar che il suo parere non fosse “privo di sostanza”, il Tar avrebbe accolto il ricorso e, quindi, annullato il Decreto. Un conto, infatti, è il mancato rilascio di un parere che non modifica nella sostanza l’esito del procedimento e che, pertanto, si riassume in una mera irregolarità dello stesso; un conto è il mancato rilascio di un parere che può modificare l’esito del procedimento e che, pertanto, costituisce motivo di invalidità dell’atto.
Ora, se il Ministero ha ritenuto di riaprire il procedimento sulla base del parere acquisito ieri dalla Regione, procedendo ad una nuova istruttoria, vuol dire che con il suo parere la Regione è stata in condizione di apportare qualche elemento di novità al procedimento: il suo parere potrebbe potenzialmente modificare il giudizio espresso nel Decreto VIA.
Ma se questo è vero, è, allora, altrettanto vero che vincere un ricorso davanti al Tar sarebbe stato per la Regione un gioco da ragazzi. Con il parere reso ieri, invece, la Regione ha finito ingenuamente per sanare l’illegittimità del procedimento. Il termine previsto dalla legge non è perentorio: l’importante è che esso sia arrivato (meglio detto: che sia stato richiesto) entro la conclusione del procedimento, ossia prima che il Decreto sia formalmente adottato.
A meno che, si intende, non si debba pensare che la richiesta del Ministero sia effettivamente pervenuta in Regione e che aver deciso di rendere tardivamente il parere sia stato solo un modo per evitare il giudizio dinanzi al Tar. Giacché: qualora il Ministero avesse davvero richiesto il parere alla Regione e la Regione per sua negligenza non l’avesse rilasciato, cosa si sarebbe potuto mai sostenere nel ricorso?

ENZO DI SALVATORE

domenica 3 marzo 2013

Abruzzo e petrolio: avanti c’è posto!


Trovo molto ipocrita questo "stracciarsi le vesti" dopo l'esplosione del caso OMBRINA 2. Oggi i parlamentari abruzzesi fanno a gara a chi difende per primo il territorio e, in questo gioco delle parti, si addossano l'un l'altro la responsabilità di quanto va accadendo.
Questo "sincero" interesse per OMBRINA 2 risponde forse all'esigenza di non farsi travolgere dal "nuovo" che è emerso dalle urne e di rifarsi il trucco in vista di una nuova serata?
Faccio notare che il 15 luglio 2012 è stata recapitata a TUTTI gli ex Parlamentari d'Abruzzo una lettera con cui li si metteva in guardia contro i pericoli derivanti dall'approvazione della legge di conversione del Decreto Sviluppo.
Tutti ormai sono al corrente di come sono andate le cose: la legge di conversione (la n. 134/2012) passò con voto bulgaro in entrambi i rami del Parlamento.
Del ritorno di fiamma di OMBRINA 2 nessuno ha il diritto di dirsi stupito perché già a luglio la cosa era nota e c'era chi, senza ricercare le luci della ribalta o nuovi palcoscenici da calcare, cercava qualche "buon samaritano" disposto ad accollarsi le spese per un ricorso al TAR per quando il Decreto VIA sarebbe stato pubblicato.
Oggi scopriamo con piacere che il nuovo grido di guerra è proprio "AL TAR AL TAR!!" e che in molti si arrovellano il cervello per dare risposta al nuovo amletico quesito"Raccomandata o non raccomandata: questo è il problema".
Tutto questo dibattito, accompagnato da una collettiva "chiamata alle armi", resta ai margini di un discorso più articolato e complesso con cui è giunto il momento di fare i conti: riforma del Titolo V della Costituzione e strategia energetica nazionale.
Sullo sfondo l'incognita di una vecchia classe dirigente molto ciarliera ed inadeguata a governare la Regione e il Paese.

TESTO DELLA LETTERA DEL 15 LUGLIO 2012 DEL COORDINAMENTO NAZIONALE NO- TRIV

Lettera a tutti i parlamentari del coordinamento nazionale No triv – liberiamo mare e terre dalle trivelle.

Gentile Onorevole,

Le scriviamo questa lettera dopo aver appreso che oggi è stato posto il voto di fiducia al Dl Sviluppo (decreto-legge n. 83 del 2012, pubblicato sulla G.U. n. 147 del 26 giugno 2012).
Vogliamo richiamare la sua attenzione sull’art. 35 del decreto stesso.
In seguito al disastro petrolifero occorso nel Golfo del Messico nel 2010, il Governo, con decreto legislativo n. 128 del 2010, introdusse una modifica al Codice dell’ambiente del 2006 (art. 6, comma 17). In base ad essa, si stabilì che, da quel momento in poi, non sarebbe stato più possibile cercare ed estrarre gas o petrolio all’interno di aree marine o costiere protette a qualsiasi titolo. Il divieto venne, quindi, esteso anche all’esterno di tali aree protette, per 12 miglia marine ancora. Per il solo petrolio, invece, esso avrebbe trovato applicazione lungo tutta la fascia marina della Penisola italiana, entro le cinque miglia dalla costa. Infine, si stabilì: 1) che il divieto dovesse riguardare anche i “procedimenti autorizzatori in corso”, vale a dire a tutte quelle richieste di ricerca o di estrazione, che, alla data di entrata in vigore della modifica, non avessero avuto ancora il rilascio di un titolo minerario; 2) che restassero, tuttavia, in piedi i titoli minerari già rilasciati alla data di entrata in vigore della modifica.
L’art. 35 del c.d. “decreto sviluppo” modifica quelle disposizioni: per un verso, esso sancisce il divieto di cercare ed estrarre gas e petrolio “nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette” (ciò comporta che il precedente limite delle 5 miglia marine sia ora portato a 12 miglia e che esso concerna non solo il petrolio, ma anche il gas); per altro verso, stabilisce che il divieto di cercare ed estrarre idrocarburi non riguardi quei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Così disponendo, esso fa, dunque, salvi in modo retroattivo i procedimenti autorizzatori già in corso prima del 26 agosto 2010, data di entrata in vigore del decreto legislativo. Questo vuol dire che, qualora il “decreto sviluppo” venga convertito in legge dal Parlamento, i procedimenti relativi a permessi di ricerca e concessioni di coltivazione potranno riprendere indisturbati il loro corso, fino all’ottenimento del titolo minerario.
Detta previsione, tuttavia, è in assoluta contraddizione con la stessa ratio, che sostiene la normativa recata dal “decreto sviluppo”, nella parte in cui estende – ma solo in ordine al rilascio di nuovi titoli minerari – il divieto delle attività concernenti gli idrocarburi liquidi e gassosi fino a 12 miglia: previsione che, in tutta evidenza, poggia sul presupposto che esercitare tali attività in mare sia particolarmente rischioso; non già, però, in ogni tempo, ma solo in relazione alle nuove richieste per il rilascio di futuri titoli!
Nella relazione che accompagna il “decreto sviluppo” si legge, invero, che “la norma sblocca 4,5 miliardi di investimenti in 8 progetti di sviluppo di giacimenti già individuati e perforati ma non ancora messi in produzione, altrimenti destinati a restare improduttivi con oneri a carico dello Stato, evitando inoltre richieste di risarcimento da parte delle imprese allo Stato italiano per la revoca degli affidamenti fatta ad investimenti in corso”.
L’affermazione relativa ad una paventata richiesta di risarcimento da parte delle società petrolifere, è, tuttavia, priva di fondamento; e non a caso il decreto legislativo n. 128 del 2010 manteneva distinti i “procedimenti autorizzatori in corso” da quelli che fossero già conclusi, stabilendo – come si è ricordato più sopra – che: “le disposizioni di cui al presente comma (e cioè: i divieti) si applicano ai procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del presente comma. Resta ferma l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data”.
Una richiesta di risarcimento danni da parte delle compagnie petrolifere nei confronti dello Stato può darsi, infatti, solo in presenza di un titolo minerario già rilasciato e non anche nell’eventualità che un procedimento autorizzatorio non vada a buon fine. In questo secondo caso, qualora la legge dello Stato applicasse quei divieti anche ai procedimenti in corso, non potrebbe ritenersi violato il “legittimo affidamento” delle società petrolifere, atteso che eventuali investimenti da esse già effettuati rientrerebbero nel consueto rischio imprenditoriale, che, da sempre, accompagna l’iniziativa economica privata.

Alla luce di queste considerazioni il Coordinamento Nazionale No Triv – Liberiamo mare e terre dalle trivelle è a chiederLe di non votare il Dl Sviluppo.

Siamo certi dell’attenzione con cui vorrà considerare la presente richiesta e cogliamo l’occasione per porgerLe i nostri più cordiali saluti.

Roma, 25 luglio 2012.

ENRICO GAGLIANO - COMITATO ABRUZZESE DIFESA BENI COMUNI