venerdì 15 marzo 2013

Strategia energetica nazionale e petrolio


(tratto dal documento relativo alla “Strategia energetica nazionale”, approvato con decreto interministeriale dell’8 marzo 2013)

(p. 111 ss.)

Produzione idrocarburi – gli obiettivi

“In particolare, 5 zone in Italia offrono un elevato potenziale di sviluppo: la val Padana, l’Alto Adriatico, l’Abruzzo, la Basilicata e del Canale di Sicilia.
L’Italia ha inoltre sviluppato un forte settore industriale nell’ indotto upstream, con notevoli tradizioni, competenze e presenza internazionale. Il settore conta oltre 120 società attive, più di 65.000 occupati, un giro di affari nel 2010 di oltre 20 miliardi di euro, di cui 5,5 miliardi di euro solo in Italia, e una spesa in ricerca e sviluppo di 300 milioni di euro.
Inoltre, il settore upstream italiano si distingue per le migliori pratiche e risultati di sicurezza e di protezione ambientale, potendo vantare – ad esempio – performance di assoluta eccellenza sia relativamente alle fasi di perforazione che di coltivazione dei campi.
L’opportunità di mobilitare investimenti in questo ambito è stata però limitata da un contesto normativo e da un processo decisionale che hanno rallentato o fermato molte iniziative nel corso dell’ultimo decennio: i tempi di attesa autorizzativa arrivano ad essere fino a 10 volte quelli previsti da normativa, sia in fase di esplorazione che di produzione, e sono molto più elevati delle medie mondiali. Negli ultimi anni si è assistito ad un marcato peggioramento dei tempi di attesa autorizzativa. In particolare, vi sono 3 principali criticità:
La complessità e i tempi lunghi del sistema autorizzativo. Ad esempio, in Italia l’attività di esplorazione e produzione si svolge in seguito all’acquisizione di 2 o 3 titoli autorizzativi distinti (a seconda dei casi). Gli iter autorizzativi di altri Paesi europei (ad esempio Norvegia o Inghilterra) prevedono il conferimento di un titolo abilitativo unico rilasciato su un’area preventivamente individuata e valutata dalle autorità competenti. Anche la recente proposta di direttiva europea in materia sopprime la distinzione tra procedure di autorizzazione per l'esplorazione e per la produzione, giudicandola contraria alla prassi.
Inoltre, l’iter autorizzativo include intese tra Stato e Regioni, senza un termine ultimo per l’espressione di pareri, mentre in tutti i Paesi produttori le decisioni di licensing sono in capo al decisore centrale. E’ da osservare che il forte rallentamento nell’attività esplorativa e produttiva italiana si è verificato dopo il 1999, con l’introduzione delle riforme costituzionali che hanno modificato il ruolo rispettivo di Stato e Regioni nel processo decisionale.
Le limitazioni per le attività offshore. Le attività offshore sono profondamente condizionate dai divieti introdotti dal decreto legislativo n.128/2010 (cosiddetto “correttivo ambientale”) che ha interdetto tali attività in molte aree, bloccando di fatto la maggior parte delle attività di ricerca e sviluppo offshore e cancellando progetti per 3,5 miliardi di euro. Nessun Paese europeo ha adottato norme analoghe: ad esempio, in Norvegia non vigono divieti generalizzati ma sono state identificate alcune aree (come le Lofoten) interdette per specifiche ragioni ambientali –cosa che è comunque garantita anche in Italia dalla normativa a difesa delle aree protette, su cui il Governo intende mantenere la massima attenzione.

Le iniziative
Per il raggiungimento degli obiettivi citati sono necessari sia provvedimenti di tipo normativo, che garantiscano il rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale e semplifichino gli iter autorizzativi, sia iniziative di supporto al settore industriale, per favorire l’ulteriore sviluppo dei poli tecnologici. È necessario più in generale che le opportunità di nuovi investimenti e le esigenze ambientali non siano posti in contrapposizione a priori, ma che si valutino le opere in base ad analisi scientifiche rigorose e coinvolgendo enti locali e popolazione, così da procedere – nei casi in cui risulti possibile – fornendo tutte le indispensabili garanzie in termini di sicurezza e di tutela dell'ambiente.

I principali interventi di carattere normativo si propongono di:

Rafforzare le misure di sicurezza delle operazioni, in particolare attraverso l’implementazione delle misure di sicurezza offshore previste dalla proposta di direttiva europea. Inoltre, il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di shale gas.

Adeguare gli iter autorizzativi ai nuovi standard europei (Direttiva sulla sicurezza offshore in corso di emanazione): in particolare, per garantire la richiesta separazione tra il soggetto responsabile della gestione amministrativa e autorizzativa e l’autorità competente in materia di vigilanza, con decreto legge 83/2012, convertito, è stato garantito il necessario finanziamento della nuova struttura di vigilanza. Inoltre, si ritiene opportuno adottare, nell’ambito di una generale revisione e semplificazione della normativa di settore, un modello di conferimento di un titolo abilitativo unico per esplorazione e produzione.

Sviluppare le ricadute economico-occupazionali sui territori interessati. In tal senso, una quota delle maggiori entrate per l’estrazione di idrocarburi sarà destinata allo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e dei territori limitrofi, come introdotto recentemente con il ‘DL Liberalizzazioni’.
Fermi restando i limiti di tutela offshore definiti dal Codice Ambiente (recentemente aggiornato), sviluppare la produzione, in particolare quella di gas naturale, conservando margini di sicurezza uguali o superiori a quelli degli altri Paesi UE e mantenendo gli attuali vincoli di sicurezza e di tutela paesaggistica e ambientale. In questo ambito, nel recente DL Crescita di giugno 2012, si è creato un fondo per il rafforzamento delle attività di monitoraggio ambientale e di sicurezza e tutela del mare finanziato con un aumento delle aliquote di prodotto (‘royalties’) e si è stabilita uniformità nell’individuazione delle aree interdette alle attività minerarie, sia ad olio sia a gas, ovvero nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalla linea di costa e dalle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale. Nello stesso provvedimento si è anche introdotta una norma che salvaguarda i titoli abilitativi già rilasciati e i procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del Dlgs 128 (29 giugno 2010): con quest’ultima si intende valorizzare le riserve già rinvenute, prevalentemente di gas naturale, eliminare contenziosi con operatori che hanno già realizzato infrastrutture, ed evitare costi per risarcimenti/compensazioni agli operatori e/o per il decommissioning a carico dell'Amministrazione per lo smantellamento ed il ripristino di impianti produttivi mai entrati in esercizio.
Rendere disponibili i dati e le informazioni tecniche relative alle ricerche geofisiche ed alle perforazioni già effettuate, al fine di promuovere lo sviluppo delle risorse naturali e rendere fruibili per la comunità scientifica i dati di sottosuolo, in maniera trasparente ed affidabile.
Agli interventi di natura normativa, sarà importante accompagnare iniziative di supporto al sistema, favorendo il rafforzamento dei poli tecnologici e industriali: la produzione di idrocarburi ha portato alla nascita di distretti energetici in Emilia Romagna, Lombardia, Abruzzo, Basilicata e Sicilia, che potrebbero essere rilanciati coerentemente con l’ulteriore sviluppo delle attività minerarie, ad esempio:

L’Emilia Romagna e la Lombardia, già in posizioni di avanguardia a livello mondiale, potrebbero sviluppare ulteriormente il loro ruolo di centro di eccellenza tecnologico.

In Abruzzo, dove hanno sede alcune delle principali società di servizio in ambito petrolifero, le attuali sedi potrebbero essere utilizzate come basi logistiche per lo sviluppo di nuove attività estrattive nel Sud Italia.

La Basilicata, che riveste un ruolo strategico in materia di politica energetica nazionale, presenta un potenziale industriale ancora da valorizzare. Le misure di intervento saranno incentrate sullo sviluppo di infrastrutture e servizi, il potenziamento del tessuto industriale tale da facilitare il trasferimento di attività economiche, la velocizzazione del processo autorizzativo e lo sviluppo di un sistema amministrativo adeguato alla dimensione dell’industria e dei suoi investimenti.

L’ulteriore sviluppo del settore petrolifero siciliano potrebbe concentrarsi sul potenziamento delle attività estrattive, lo sviluppo delle strutture portuali, la crescita della cantieristica navale che potrebbe costituire un forte volano per il potenziamento dell’indotto e dalla quale anche le attività minerarie potrebbero trarre giovamento, soprattutto per il settore dell’impiantistica offshore, con significative ricadute occupazionali.
Tra i fattori abilitanti per il rilancio della produzione, viene infine considerato fondamentale il miglioramento delle attività di supporto del MiSE, che ha avviato una revisione delle attività interne di ‘Project Management’ del processo autorizzativo, con l’allocazione di ulteriori risorse umane e strumentali da destinare alla gestione dei progetti e agli aspetti connessi ai rapporti con il territorio”.

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