Trovo molto ipocrita questo "stracciarsi le vesti" dopo l'esplosione del caso OMBRINA 2. Oggi i parlamentari abruzzesi fanno a gara a chi difende per primo il territorio e, in questo gioco delle parti, si addossano l'un l'altro la responsabilità di quanto va accadendo.
Questo "sincero" interesse per OMBRINA 2 risponde forse all'esigenza di non farsi travolgere dal "nuovo" che è emerso dalle urne e di rifarsi il trucco in vista di una nuova serata?
Faccio notare che il 15 luglio 2012 è stata recapitata a TUTTI gli ex Parlamentari d'Abruzzo una lettera con cui li si metteva in guardia contro i pericoli derivanti dall'approvazione della legge di conversione del Decreto Sviluppo.
Tutti ormai sono al corrente di come sono andate le cose: la legge di conversione (la n. 134/2012) passò con voto bulgaro in entrambi i rami del Parlamento.
Del ritorno di fiamma di OMBRINA 2 nessuno ha il diritto di dirsi stupito perché già a luglio la cosa era nota e c'era chi, senza ricercare le luci della ribalta o nuovi palcoscenici da calcare, cercava qualche "buon samaritano" disposto ad accollarsi le spese per un ricorso al TAR per quando il Decreto VIA sarebbe stato pubblicato.
Oggi scopriamo con piacere che il nuovo grido di guerra è proprio "AL TAR AL TAR!!" e che in molti si arrovellano il cervello per dare risposta al nuovo amletico quesito"Raccomandata o non raccomandata: questo è il problema".
Tutto questo dibattito, accompagnato da una collettiva "chiamata alle armi", resta ai margini di un discorso più articolato e complesso con cui è giunto il momento di fare i conti: riforma del Titolo V della Costituzione e strategia energetica nazionale.
Sullo sfondo l'incognita di una vecchia classe dirigente molto ciarliera ed inadeguata a governare la Regione e il Paese.
TESTO DELLA LETTERA DEL 15 LUGLIO 2012 DEL COORDINAMENTO NAZIONALE NO- TRIV
Lettera a tutti i parlamentari del coordinamento nazionale No triv – liberiamo mare e terre dalle trivelle.
Gentile Onorevole,
Le scriviamo questa lettera dopo aver appreso che oggi è stato posto il voto di fiducia al Dl Sviluppo (decreto-legge n. 83 del 2012, pubblicato sulla G.U. n. 147 del 26 giugno 2012).
Vogliamo richiamare la sua attenzione sull’art. 35 del decreto stesso.
In seguito al disastro petrolifero occorso nel Golfo del Messico nel 2010, il Governo, con decreto legislativo n. 128 del 2010, introdusse una modifica al Codice dell’ambiente del 2006 (art. 6, comma 17). In base ad essa, si stabilì che, da quel momento in poi, non sarebbe stato più possibile cercare ed estrarre gas o petrolio all’interno di aree marine o costiere protette a qualsiasi titolo. Il divieto venne, quindi, esteso anche all’esterno di tali aree protette, per 12 miglia marine ancora. Per il solo petrolio, invece, esso avrebbe trovato applicazione lungo tutta la fascia marina della Penisola italiana, entro le cinque miglia dalla costa. Infine, si stabilì: 1) che il divieto dovesse riguardare anche i “procedimenti autorizzatori in corso”, vale a dire a tutte quelle richieste di ricerca o di estrazione, che, alla data di entrata in vigore della modifica, non avessero avuto ancora il rilascio di un titolo minerario; 2) che restassero, tuttavia, in piedi i titoli minerari già rilasciati alla data di entrata in vigore della modifica.
L’art. 35 del c.d. “decreto sviluppo” modifica quelle disposizioni: per un verso, esso sancisce il divieto di cercare ed estrarre gas e petrolio “nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette” (ciò comporta che il precedente limite delle 5 miglia marine sia ora portato a 12 miglia e che esso concerna non solo il petrolio, ma anche il gas); per altro verso, stabilisce che il divieto di cercare ed estrarre idrocarburi non riguardi quei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Così disponendo, esso fa, dunque, salvi in modo retroattivo i procedimenti autorizzatori già in corso prima del 26 agosto 2010, data di entrata in vigore del decreto legislativo. Questo vuol dire che, qualora il “decreto sviluppo” venga convertito in legge dal Parlamento, i procedimenti relativi a permessi di ricerca e concessioni di coltivazione potranno riprendere indisturbati il loro corso, fino all’ottenimento del titolo minerario.
Detta previsione, tuttavia, è in assoluta contraddizione con la stessa ratio, che sostiene la normativa recata dal “decreto sviluppo”, nella parte in cui estende – ma solo in ordine al rilascio di nuovi titoli minerari – il divieto delle attività concernenti gli idrocarburi liquidi e gassosi fino a 12 miglia: previsione che, in tutta evidenza, poggia sul presupposto che esercitare tali attività in mare sia particolarmente rischioso; non già, però, in ogni tempo, ma solo in relazione alle nuove richieste per il rilascio di futuri titoli!
Nella relazione che accompagna il “decreto sviluppo” si legge, invero, che “la norma sblocca 4,5 miliardi di investimenti in 8 progetti di sviluppo di giacimenti già individuati e perforati ma non ancora messi in produzione, altrimenti destinati a restare improduttivi con oneri a carico dello Stato, evitando inoltre richieste di risarcimento da parte delle imprese allo Stato italiano per la revoca degli affidamenti fatta ad investimenti in corso”.
L’affermazione relativa ad una paventata richiesta di risarcimento da parte delle società petrolifere, è, tuttavia, priva di fondamento; e non a caso il decreto legislativo n. 128 del 2010 manteneva distinti i “procedimenti autorizzatori in corso” da quelli che fossero già conclusi, stabilendo – come si è ricordato più sopra – che: “le disposizioni di cui al presente comma (e cioè: i divieti) si applicano ai procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del presente comma. Resta ferma l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data”.
Una richiesta di risarcimento danni da parte delle compagnie petrolifere nei confronti dello Stato può darsi, infatti, solo in presenza di un titolo minerario già rilasciato e non anche nell’eventualità che un procedimento autorizzatorio non vada a buon fine. In questo secondo caso, qualora la legge dello Stato applicasse quei divieti anche ai procedimenti in corso, non potrebbe ritenersi violato il “legittimo affidamento” delle società petrolifere, atteso che eventuali investimenti da esse già effettuati rientrerebbero nel consueto rischio imprenditoriale, che, da sempre, accompagna l’iniziativa economica privata.
Alla luce di queste considerazioni il Coordinamento Nazionale No Triv – Liberiamo mare e terre dalle trivelle è a chiederLe di non votare il Dl Sviluppo.
Siamo certi dell’attenzione con cui vorrà considerare la presente richiesta e cogliamo l’occasione per porgerLe i nostri più cordiali saluti.
Roma, 25 luglio 2012.
ENRICO GAGLIANO - COMITATO ABRUZZESE DIFESA BENI COMUNI
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