sabato 21 dicembre 2013

Petrolio sì, petrolio no: il diritto a un’informazione completa e trasparente


Non abbiamo tessere di iscrizione al “club” dei detrattori della stampa, soprattutto di quella che, anche quando le ignora, non sposa le nostre tesi in materia di crescita economica e di politiche energetiche.
Crediamo nella inviolabilità della libertà di stampa e di espressione, ma riteniamo altrettanto fermamente che all’opinione pubblica debba essere garantito il diritto a un’informazione a tutto tondo.
Non ce ne voglia, dunque, il Direttore de “Il Centro”, Mauro Tedeschini – al quale abbiamo proposto di farsi promotore di un Forum sulla questione “Petrolio in Abruzzo” – se lo invitiamo a rendere partecipi i lettori e anche i non lettori  de “Il Centro” del “conflitto di interessi”, che, da quando dirige la nota testata abruzzese, sembrerebbe riguardarlo.
La nostra vuole essere una semplice narrazione di fatti, senza alcun richiamo al rispetto dell’etica e della deontologia del giornalista.

È da tempo che il Direttore modera dibattiti sul tema, commenta, formula auspici e dà pagelle di credibilità.
Il 16 gennaio prossimo, ad esempio, il Direttore de “Il Centro” sarà presente in veste di moderatore al convegno che si terrà presso l’Università degli Studi di Teramo, dal titolo non singolare “Le strategie di comunicazione per superare il Nimby. In che modo comunicare con le comunità locali che si oppongono alla costruzione di infrastrutture in Italia e in Abruzzo?”, durante il quale si parlerà anche del rapporto tra ambiente e petrolio.
Fin qui nulla da eccepire. Al contrario, tutto ciò va nella direzione di un maggiore pluralismo dell’informazione e, da questo punto di vista, è opportuno che di Tedeschini ce ne siano tanti. D’altra parte, tra le molte lettere alle quali il Direttore ha dato risposta negli ultimi anni in tema di petrolio ve n’è una del 23 ottobre 2012, in cui, rivolgendosi a un lettore lontano dalle nostre posizioni, proprio Tedeschini auspica decisioni chiare e soprattutto “informazioni trasparenti”.

Resta però un fatto che il quotidiano “Il Centro” fa capo al Gruppo Espresso, che è controllato dal Gruppo C.I.R., che a sua volta controlla SORGENIA.
Sorgenia è organizzata in tre aree di attività: mercato dell’energia, fonti rinnovabili, ricerca e produzione di idrocarburi. O almeno, lo è stata fino ad oggi visto che nel Piano 2014-2020 è prevista la dismissione delle due ultime aree.
La società è presente in Colombia e nel Mare del Nord e opera anche nella ricerca non convenzionale di idrocarburi (shale gas  e shale oil), con interessi in varie aree d’Europa: Bacino Baltico, Polonia, Portogallo.
Attraverso la controllata Sorgenia E&P Spa, Sorgenia ha una partnership con le britanniche Aurelian Oil and Gas Plc e JKX Oil&Gas Plc per lo sviluppo di attività di esplorazione relative a diverse licenze petrolifere in Bulgaria.
La JKX Oil&Gas Plc? Sì, proprio così: Sorgenia ha una partnership con la “mamma” della JKX ITALIA che in Abruzzo è titolare al 100% dell’istanza di permesso di ricerca CORROPOLI così come un tempo lo è stata dei permessi di ricerca CIVITA ed AGLAVIZA poi ceduti a MEDOILGAS che è azienda associata ad Assindustria Chieti-Pescara, di cui Paolo Primavera è Presidente. E MEDOILGAS a sua volta ci riporta ad Ombrina, al permesso di ricerca Colle dei Nidi e all’istanza di ricerca Villa Mazzarosa, poi vendute a Canoel. Sorgenia, infine, in Tirreno Power è socia di Gaz De France, che a sua volta detiene il 51% dell’istanza di concessione di stoccaggio San Benedetto.

La domanda che occorre porsi è se non sia opportuno – proprio ai fini di una più completa informazione – che chi dirige una testata giornalistica così importante non precisi tutto questo apertamente, in modo manifesto. Solo così alcuni articoli apparsi su “Il Centro” – come quello ormai celebre dedicato alla Piattaforma Vega e alle ombrine fresche cucinate dallo chef calabrese Giuseppe – avrebbero forse un retrogusto meno gradevole, ma certamente più schietto e genuino.


Comitato Abruzzese Difesa Beni Comuni, aderente al Coordinamento Nazionale NO TRIV

domenica 27 ottobre 2013

La Provincia di Teramo e “Colle dei Nidi”: cronaca di una storia che ha dell’incredibile

I Comuni di Bellante, Mosciano S. Angelo e Campli hanno proposto ricorso davanti al TAR Lazio chiedendo l’annullamento degli atti del procedimento, che ha portato al rilascio del permesso di ricerca di idrocraburi liquidi e gassosi “Colle dei Nidi”; e cioè: del decreto del Ministero dello Sviluppo economico, con cui si è autorizzata la ricerca, e degli atti della Regione Abruzzo e della Regione Marche, con i quali è stata data l’intesa al Ministero.
Il ricorso è stato notificato, inoltre, alla Provincia di Teramo e alla Provincia di Ascoli, nonché alle società petrolifere titolari del permesso di ricerca. Perché? Per far sapere loro che è stato presentato un ricorso davanti al TAR e che questo potrebbe interessarli.
Dunque il ricorso è stato notificato alla Provincia di Teramo solo in quanto “controinteressata” e non in quanto “resistente”.
Nessuno ha contestato alla Provincia alcunché. I tre Comuni hanno scritto alla Provincia solo per farle sapere che è stato presentato un ricorso contro il Ministero e le due Regioni e che, in ragione del fatto che la ricerca degli idrocarburi interesserà il territorio provinciale, essa, se vuole, può costituirsi in giudizio a sostegno dei Comuni.
Cosa ha capito invece la Provincia? L’esatto contrario, e cioè che i tre Comuni stessero agendo contro la Provincia, trascinandola in giudizio davanti al TAR! Basta leggere la delibera della Giunta provinciale per capire quel che la Provincia non ha capito: agli inizi di ottobre il testo del ricorso dei tre Comuni arriva in Provincia. Il Settore Avvocatura della Provincia inoltra il ricorso al Settore Ambiente e al Settore Urbanistica chiedendo loro di verificare se la Provincia sia interessata a “resistere o meno all’iniziativa intrapresa” dai Comuni. E cosa rispondono i due Settori chiamati in causa? Che “i ricorrenti non hanno contestato atti o provvedimenti” della Provincia e che, pertanto, non sussiste neppure alcun “interesse a resistere all’iniziativa dei ricorrenti”.
Come dire: non vado a difendermi in giudizio perché non ho fatto niente. E infatti chi ha mai sostenuto il contrario?

ENZO DI SALVATORE
ENRICO GAGLIANO

venerdì 25 ottobre 2013

A proposito del permesso di ricerca “Colle dei Nidi”


Mi permetto di intervenire sulla questione relativa al permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato “Colle dei Nidi” per chiarire alcuni aspetti del problema. 
La Provincia di Teramo ha deciso di “non costituirsi in giudizio” dinanzi al Tar e qualcuno giustamente osserva come sia assolutamente legittimo pensarla diversamente in fatto di petrolio ossia avere idee politiche divergenti da quelle espresse dai Sindaci dei tre Comuni.
D’accordo. Si può senz’altro avere un’altra idea di sviluppo e pensare che la nostra Regione debba favorire investimenti massicci in attività minerarie. A patto, però, di spiegare qual è la posta in gioco. 
Le attività minerarie collegate al permesso di ricerca e alla (eventuale) successiva concessione di coltivazione “Colle dei Nidi” potrebbero non essere “indolori”. L’esercizio di tali attività potrebbe, infatti, richiedere l’adozione di provvedimenti “ablativi” ovvero provvedimenti di occupazione temporanea per la ricerca o di espropriazione per la coltivazione degli idrocarburi. D’altra parte è la stessa legge dello Stato a dirci che chi ha una concessione di coltivazione ha anche il diritto di costruire le opere necessarie all’estrazione del petrolio: opere che di per sé sono considerate di pubblica utilità e che giustificano l’adozione dei provvedimenti di esproprio. Basta visitare il sito del Ministero dello sviluppo economico per capire che sia così. Mi limito a citare il progetto di ricerca “San Marco” in provincia di Ravenna, rispetto al quale la società petrolifera interessata ha ottenuto il decreto di occupazione dei fondi al fine di svolgere indagini geofisiche, a fronte di una indennità disposta in favore dei proprietari dei terreni, che, per legge, è pari ad un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell’area. 
Certo,nel caso del permesso “San Marco” l’occupazione dei fondi è limitata a pochi mesi. Ma chi può escludere che in altri casi l’occupazione si protragga per anni e magari coincidere con l’intera durata del permesso di ricerca? Si dirà: lo si dovrebbe capire dal programma dei lavori che la compagnia presenta al fine di ottenere il rilascio del permesso di ricerca. Lo si dovrebbe, appunto. Perché dal programma dei lavori relativo a “Colle dei Nidi” questo non mi pare emerga con chiarezza. 
Ora, sono consci di tutto ciò la Provincia di Teramo e gli agricoltori delle Colline teramane che oggi tacciono? 
Ma ammettiamo pure che questi dubbi siano infondati e che con la sua delibera la Provincia di Teramo abbia voluto dire di essere d’accordo con la realizzazione del progetto. Resta il fatto che, pur potendoci essere spazio per una visione politica diversa delle cose, la Provincia – in quanto Ente territoriale rappresentativo delle collettività teramana – dovrebbe comunque rivendicare il diritto di potere affacciare il proprio punto di vista e non consentire, invece, che il progetto si realizzi a prescindere da ciò. Perché infatti è esattamente questo di cui ci si duole con il ricorso: che gli Enti locali interessati (e, dunque, anche la Provincia) non siano stati posti in condizione – come richiede la legge – di poter esprimere un qualsivoglia punto di vista.

ENZO DI SALVATORE

mercoledì 25 settembre 2013

Il caso Angelika Kurzt (per non dimenticare)


Angelika Kurtz nasce a Berlino Ovest nel 1956. I suoi genitori non sono sposati e non si curano di lei, che vive con i nonni paterni. Per il codice civile tedesco (secondo le disposizioni allora vigenti) un figlio naturale e suo padre non hanno alcun legame. Nel 1959 la madre di Angelika si sposa con un altro uomo e si trasferisce nella DDR a Zittau, con l’intenzione di portarvi anche la bambina. Ma l’ufficio di assistenza per i minori, cui è affidata la tutela dei figli nati fuori dal matrimonio, le impedisce di portare con sé Angelika, accusandola di “agire su incitamento delle autorità della DDR”. La decisione dell’Ufficio si basa sul § 1666 del codice civile (BGB): “Se il benessere psichico o fisico del figlio è messo in pericolo dal fatto che il padre o la madre abusino del diritto di cura della sua persona, trascurino il figlio o si rendano colpevoli di un comportamento disonesto o immorale, il giudice tutelare deve prendere i provvedimenti necessari per eliminare tale pericolo”. L’Ufficio, inoltre, sostiene che, una volta trasferita la bambina nella DDR, non potrebbe adempiere ai suoi doveri. Nel 1962 il Tribunale regionale di Berlino riforma la decisione dell’Ufficio per i minori. Per il Tribunale non vi sono prove del fatto che il trasferimento di Angelika nella DDR costituisca un pericolo per il benessere psichico o fisico della bambina. Questa sentenza è confermata nello stesso anno dalla Corte d’Appello di Berlino. Ma la nonna di Angelika e l’Ufficio per i minori si rifiutano di consegnare Angelika a sua madre e chiedono una revisione del giudizio. Nel 1965 il caso finisce davanti alla Corte di Cassazione federale (BGH) e dinanzi alla Corte costituzionale federale (BVerfG): entrambe respingono il ricorso. La stampa accusa, quindi, le due Corti di violare i diritti dell’uomo e di essere “complici della deportazione di bambini”. La nonna di Angelika e l’Ufficio per i minori ricorrono, ma inutilmente, alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Alla fine, la madre di Angelika ottiene in adozione (!) sua figlia nella DDR. Ma un nuovo problema si affaccia: sono tenuti i Tribunali della Germania dell’Ovest ad applicare il diritto della DDR, riconoscendo l’adozione della bambina avvenuta sulla base di quel diritto? Nel frattempo, il giudice dell’esecuzione di Berlino Ovest sospende l’esecuzione della sentenza perché quanto deciso sarebbe “contrario ai diritti dell’uomo” (ma per questa decisione sarà poi sottoposto a procedimento disciplinare).
Il caso è ormai “politico”. La Germania dell’Ovest e quella dell’Est decidono, quindi, di stringere un accordo: Angelika Kurtz trascorrerà due settimane “di prova” presso la madre nella DDR; dopodiché “deciderà da sola”.
Nel 1967 Angelika torna a Berlino Ovest.

ENZO DI SALVATORE

venerdì 26 luglio 2013

Non c’è pace per Sulmona (e per l’Abruzzo)

Il Governo ha impugnato oggi la legge della Regione Abruzzo 7 giugno 2013, n. 14, con cui si è disposto quanto segue: “La localizzazione e la realizzazione di centrali di compressione a gas è consentita al di fuori delle aree sismiche classificate di prima categoria, ai sensi della vigente normativa statale, nel rispetto delle vigenti norme e procedure di legge, previo studio particolareggiato della risposta sismica locale attraverso specifiche indagini geofisiche, sismiche e litologiche di dettaglio”.

L’impugnativa arriva a poco meno di un mese dalla sentenza della Corte costituzionale, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione Abruzzo 19 giugno 2012, n. 28, che stabiliva: “1. Al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 dell’art. 1, nel rilascio, da parte della Regione Abruzzo, dell’intesa ai sensi del comma 5 dell’art. 52-quinquies del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come integrato dal d.lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, la localizzazione e la realizzazione di oleodotti e gasdotti che abbiano diametro superiore o uguale a 800 millimetri e lunghezza superiore a 40 km e di impianti termoelettrici e di compressione a gas naturale connessi agli stessi, è incompatibile nelle aree di cui alla lettera d), del comma 2, dell’art. 1 [aree sismiche classificate di prima categoria]. 2. Per la localizzazione e la realizzazione delle opere di cui al comma 1, ricadenti nelle aree di cui alla lettera d), del comma 2, dell’art. 1, la Regione nega l’intesa con lo Stato e si applicano le procedure di cui al comma 6 dell’art. 52-quinquies del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. 3. La Regione nega, altresì, l’intesa qualora si tratti di opere in contrasto con il Piano regionale di Tutela della Qualità dell’Aria, approvato con Delib. C.R. n. 79/4 del 25 settembre 2007»”.

Di seguito il testo della delibera del Consiglio dei ministri:


“La legge Regione Abruzzo 7 giugno 2013, n. 14, è censurabile relativamente alla norma contenuta nell’art. 2 , che inserisce l’art.1 ter alla l.r. 1° marzo 2008, n. 2 (localizzazione e realizzazione delle centrali di compressione a gas).
Tale norma testualmente recita: “La localizzazione e la realizzazione di centrali di compressione a gas è consentita al di fuori delle aree sismiche classificate di prima categoria, ai sensi della vigente normativa statale, nel rispetto delle vigenti norme e procedure di legge, previo studio particolareggiato della risposta sismica locale attraverso specifiche indagini geofisiche, sismiche e litologiche di dettaglio”.
La previsione regionale dunque subordina la localizzazione e la realizzazione di centrali di compressione a gas ad uno “studio particolareggiato della risposta sismica locale attraverso specifiche indagini geofisiche, sismiche e litologiche di dettaglio”.

La disciplina relativa alla localizzazione di impianti a gas rientra nella materia "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", assegnata dall’articolo 117, comma terzo della Costituzione, alla potestà legislativa concorrente Stato/Regioni.

Nell’esercizio della sua potestà legislativa, lo Stato ha fissato i principi fondamentali in materia di localizzazione di impianti energetici con la l. 23 agosto 2004, n. 239 (“Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia”). Tale legge determina, altresì, quelle disposizioni per il settore energetico che contribuiscono a garantire la tutela della concorrenza, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la tutela dell’incolumità e della sicurezza pubblica, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema al fine di assicurare l’unità giuridica ed economica dello Stato e il rispetto delle autonomie regionali e locali, dei trattati internazionali e della disciplina comunitaria.

L’art. 1, co. 4, di tale legge prevede che “Lo Stato e le regioni, al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti l’energia nelle sue varie forme e in condizioni di omogeneità sia con riguardo alle modalità di fruizione sia con riguardo ai criteri di formazione delle tariffe e al conseguente impatto sulla formazione dei prezzi, garantiscono: (…) d) l’adeguatezza delle attività energetiche strategiche di produzione, trasporto e stoccaggio per assicurare adeguati standard di sicurezza e di qualità del servizio nonché la distribuzione e la disponibilità di energia su tutto il territorio nazionale;” nonché “f) l’adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle singole regioni, prevedendo eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale (…)”.

L’art. 1, co. 3, l. n. 239/2004, inoltre, chiarisce che il conseguimento dei suddetti obiettivi generali di politica energetica è assicurato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione, dallo Stato, dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, dalle regioni e dagli enti locali. In particolare, secondo il co. 7 dello stesso articolo, spetta allo Stato, anche avvalendosi dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, “l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti” (lettera g), e allo Stato “l’individuazione, di intesa con la Conferenza unificata, della rete nazionale di gasdotti” (co. 8, lett. b), n. 2).

Gli art. 29, co. 2, lett. g), D. Lgs. n. 112/98 e art. 52-quinquies D.P.R. 327/2001, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuiscono nella materia di cui si tratta un potere autorizzatorio allo Stato, riconoscendo quindi all’amministrazione statale “una competenza amministrativa generale e di tipo gestionale” a fronte di esigenze di carattere unitario.

Il necessario coinvolgimento delle Regioni di volta in volta interessate è attuato dal D.P.R. 327/2001 mediante quello strumento particolarmente efficace costituito dall’intesa in senso “forte”, la quale assicura una adeguata partecipazione di queste ultime allo svolgimento del procedimento incidente sulle molteplici competenze delle amministrazioni regionali e locali.

La disposizione regionale in esame, subordinando la realizzazione e la localizzazione di centrali di compressione a gas ad uno previo “studio particolareggiato della risposta sismica locale attraverso specifiche indagini geofisiche, sismiche e litologiche di dettaglio” detta una disciplina di dettaglio che finisce per porre limiti stringenti alla localizzazione di oleodotti e gasdotti di interesse nazionale e ne impedisce di fatto la realizzazione su larga scala. Pertanto, si pone in contrasto con i principi generali in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” di cui all’art. 1, commi 3, 4, 7 e 8, della l. 239/2004, sopra brevemente richiamati, ed in violazione dell’art. 117, co. 3 della Costituzione.

Inoltre, la norma regionale in esame si pone in contrasto con l’art. 118 della Costituzione dal momento che interferisce indebitamente con l’esercizio di funzioni amministrative che il legislatore nazionale ha attribuito alla primaria competenza statale, e che attengono alla sicurezza dell’approvvigionamento. Gli art. 29, co. 2, lett. g), D. Lgs. n. 112/98 e art. 52-quinquies D.P.R. 327/2001, infatti, attribuiscono nelle attività inerenti la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia un potere autorizzatorio allo Stato. In particolare, l’art. 29 del D.Lgs. 112/1998 al comma 1 dispone che sono “conservate allo Stato le funzioni e i compiti concernenti l’elaborazione e la definizione degli obiettivi e delle linee della politica energetica nazionale, nonché l’adozione degli atti di indirizzo e coordinamento per una articolata programmazione energetica a livello regionale”. Al comma 2, lettera g), inoltre, si chiarisce che sono conservate allo Stato le funzioni concernenti “la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici (…) le altre reti di interesse nazionale di oleodotti e gasdotti”. La norma regionale censurata, dunque, si presenta invasiva rispetto alle funzioni amministrative che la legge riserva alla competenza statale.

La norma regionale in esame si pone altresì in contrasto con l’art. 117, co. 2, lettera m) della Costituzione (“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”) in quanto, finendo per ostacolare lo sviluppo della rete dei gasdotti di interesse nazionale, e con essa l’efficiente erogazione di gas, può determinare l’impossibilità di provvedere alle esigenze fondamentali dei cittadini.

Inoltre, la disposizione è invasiva della competenza legislativa esclusiva statale in materia di “ordine pubblico e sicurezza” di cui all’art. 117, co. 2, lettera h). L’intervento legislativo regionale, che è finalizzato a condizionare, finendo per impedire, la realizzazione di infrastrutture energetiche localizzate in aree sismiche, appare sorretta principalmente da ragioni di sicurezza consistenti, da un lato, nella volontà di limitare eventuali danni all’incolumità pubblica e al territorio che il danneggiamento dei gasdotti provocato da un sisma potrebbe causare, dall’altro, nel tentativo di ridurre lo stesso rischio sismico. Così facendo la norma regionale in esame invade un ambito materiale, quello dell’«ordine pubblico e della sicurezza» che la Costituzionale riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

La Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza n. 182/2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme della legge della Regione Abruzzo n. 28 del 2012, che erano state impugnate dal Governo per motivi analoghi.
In particolare, la Corte nell’accogliere i motivi di impugnativa ha precisato che in materia di localizzazione di impianti di oleodotti e gasdotti le norme nazionali di settore (art. 1, commi 7, lettera g), e 8, lettera b), n. 2 della legge n. 239 del 2004 e art. 29, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112), “hanno ridefinito, in modo unitario ed a livello nazionale, i procedimenti di localizzazione e realizzazione della rete di oleodotti e gasdotti, in base all’evidente presupposto della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, a fronte di esigenze di carattere unitario, tanto più valevoli di fronte al rischio sismico.”.
Seppure, come affermato dalla Corte Costituzionale nella medesima sentenza “Tali esigenze unitarie, che si esprimono nelle richiamate norme statali, non possono far venir meno la necessità di un coinvolgimento delle regioni nei suddetti procedimenti. E’ proprio in questa prospettiva che questa Corte ha ravvisato nell’intesa lo strumento necessario ai fini dell’identificazione delle «linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti» , la previsione di una valutazione unilaterale che prescinde dal coinvolgimento dello Stato “sottrae la scelta al confronto – viceversa necessario – tra Stato e Regione, pregiudica l’indefettibile principio dell’intesa e si pone in tal modo in contrasto con i principi fondamentali posti dall’art. 1, comma 7, lettera g), e comma 8, lettera b), n. 2, della legge n. 239 del 2004.”

Tanto si è premesso per evidenziare che l’art. 2 della l.r. n. 14/2013, che inserisce l’ art.1 ter nella l.r. 1° marzo 2008, n. 2 , introducendo una disciplina di dettaglio per la localizzazione di centrali di compressione a gas suscettibile di porre limiti stringenti alla stessa localizzazione di dette centrali di compressione, di interesse nazionale , finisce per impedirne la realizzazione su larga parte del territorio regionale, ponendosi così in contrasto con i principi fondamentali in materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»contenute nelle sopra citate norme statali, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, nonché, con riferimento all’esercizio di funzioni amministrative che il legislatore nazionale ha attribuito alla primaria competenza statale , dell’art.118, primo comma, Cost . La norma regionale inoltre, per le ragioni sopra specificate, intervenendo in materie riconducibili a titoli di competenza esclusiva dello Stato quali l’ordine pubblico e la sicurezza, nonché la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale , viola l’articolo 117, secondo comma lettere h) ed m), Cost.
Per questi motivi la norma regionale deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione”.

giovedì 25 luglio 2013

Il “decreto del fare” e gli ex zuccherifici


La Regione Veneto aveva impugnato dinanzi alla Corte costituzionale l’art. 29 del decreto-legge n. 5 del 2012 (convertito in legge con modificazioni), nella parte in cui – relativamente ai progetti di riconversione del “comparto bieticolo saccarifero” – autorizzava il Comitato interministeriale (composto da diversi ministri: ambiente, lavoro, attività produttive, ecc.) ad adottare “norme idonee nel quadro delle competenze amministrative regionali atte a garantire l’esecutività dei progetti” di riconversione presentati dalle imprese saccarifere e a nominare, nei casi di particolare necessità, “un commissario ad acta per l’attuazione degli accordi definiti in sede regionale con coordinamento del Comitato interministeriale”.
Con sent. 62/2013, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del decreto-legge, nella parte in cui prevede che il potere sostitutivo sia esercitato ricorrendo ad un commissario ad acta, nominato dal Comitato interministeriale. Secondo la Corte, questo tipo di potere sostitutivo “non risponde ai requisiti richiesti dall’art. 120 Cost.”.
Ora, il “decreto del fare” ha modificato l’art. 29 del decreto legge n. 5 del 2012, prevedendo, da un lato, che i progetti di riconversione del comparto bieticolo saccarifero rivestono non più “carattere di interesse nazionale”, ma “carattere di interesse strategico” e, dall’altro, che, al fine di garantire l’attuazione dei progetti di riconversione, il Comitato, in caso di necessità, nomini un Commissario ad acta per l’esecuzione “degli accordi per la riconversione industriale sottoscritti con il coordinamento del Comitato interministeriale”. Questa disciplina è di dubbia legittimità:

1) la previsione del Commissario ad acta da parte del “decreto del fare” viola il giudicato della Corte costituzionale, in quanto reintroduce nell’ordinamento una disposizione dichiarata illegittima dalla Corte;

2) la disciplina della riconversione del comparto bieticolo saccariferio – come posta dal comma 1 dell’art. 29 nella versione che discende da decreto del fare – è presumibilmente illegittima e questo lo si ricava indirettamente dalla stessa sentenza della Corte, ove si dice, appunto, che la questione tocca la materia “agricoltura” riservata alla competenza delle Regioni. Secondo la Corte, l’attrazione in capo allo Stato della competenza in materia di “agricoltura” resterebbe giustificata soltanto a certe condizioni (“valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato proporzionata”, “non affetta da irragionevolezza”: sentenza n. 303/2003). Aver sostituito “interesse nazionale” con “interesse strategico” non sembra, dunque, sufficiente a giustificare l’attrazione della competenza regionale in capo allo Stato. Inoltre, se la Corte non ha dichiarato illegittimo il comma 1 dell’art. 29 è solo in quanto la Regione Veneto aveva posto il problema in relazione alla previsione del Commissario ad acta e non già perché quel comma non fosse di per sé incostituzionale.


ENZO DI SALVATORE

martedì 9 luglio 2013

Un Convegno sull'Ilva di Taranto

Il caso Ilva è diventato un caso emblematico: una sorta di metafora dei tanti problemi che investono l’ambiente. Per questo il prossimo 16 luglio autorevoli studiosi ed esperti si ritroveranno a Teramo: per discutere del problema con competenza e per confrontarsi su questioni che a partire da Taranto toccano i destini dell’ambiente e della salute. Il titolo del Convegno – “Taranto è in Europa! La sentenza della Corte costituzionale sul decreto “Salva-Ilva” e la politica ambientale dell’Unione europea” – sta a suggerire che il caso Ilva rischia di allontanare l’Italia dall’Europa ed anche che la questione tarantina è una questione sì pugliese, sì nazionale, ma soprattutto europea. I lavori si svolgeranno presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Teramo, a partire dalle ore 9.30 e si articoleranno in due sessioni. Nel corso della mattinata si terrà una Tavola rotonda dedicata alla sentenza della Corte costituzionale sul c.d. decreto “Salva-Ilva”. Vi prenderanno parte quattro studiosi, che si confronteranno sulla sentenza e più in generale sul caso “Ilva”. La sessione sarà presieduta dal Prof. Antonio D’Atena, Ordinario di Diritto costituzionale e Presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, al quale saranno affidate anche le conclusioni. La sessione pomeridiana, intitolata “L’ambiente, lo Stato e l’Unione europea: a partire da Taranto”, prevede interventi programmati, che, per il loro carattere tecnico, saranno riservati a docenti universitari o a esperti della materia. Gli interventi avranno ad oggetto argomenti quali: la politica ambientale, la politica industriale, la riduzione dei gas a effetto serra, l’informazione ambientale, l’AIA, la VIS, le emissioni industriali, l’inquinamento atmosferico, ecc. Alla sessione pomeridiana, presieduta dalla Prof.ssa Angela Musumeci, Ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Teramo, parteciperà l’On Aldo Patriciello, membro della Commissione Industria del Parlamento europeo. Il Convegno è organizzato dall’Università degli Studi di Teramo in collaborazione con Europe Direct di Teramo, WWF, Coordinamento Nazionale No Triv e con il contributo di Legambiente, Comitato Abruzzese per la Difesa dei Beni Comuni e Banca dell’Adriatico.