Il primo dubbio di
legittimità concerne il nuovo comma 1-bis
dell’art. 38 ove si stabilisce che “il Ministro dello sviluppo economico con
proprio decreto, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le
attività di cui al comma 1”, ossia “le attività di prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale”
(per conseguenza: anche la localizzazione
delle aree dove sorgeranno gli impianti relativi). Questo dubbio si pone sia
nel caso in cui la disposizione venga ricondotta alla materia energetica, sia nel
caso in cui venga ricondotta alla materia “governo del territorio” (la Corte
costituzionale ha precisato che la materia “governo del territorio” comprende
tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti
o attività). In entrambi i casi, infatti, trattandosi di competenza legislativa
concorrente Stato-Regioni, la disciplina del piano delle aree è destinata ad
esaurirsi in ambito
statale (la legge dello Stato, da un lato; il decreto ministeriale,
dall’altro), senza che le Regioni (e gli Enti locali) siano in alcun modo
coinvolti; neppure attraverso la Conferenza Stato-Regioni o attraverso la
Conferenza unificata.
D’altra parte, al fine
di escludere radicalmente ogni intervento dei livelli territoriali nell’uno e
nell’altro caso, non potrebbe sostenersi che quella specifica disciplina del
piano si giustifichi con l’esigenza di “garantire la sicurezza degli
approvvigionamenti del Paese” e che, pertanto, essa vada ricondotta alla competenza
esclusiva dello Stato sui “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali”.
Con la sentenza n. 383
del 2005, e in relazione alla legge n. 239 del 2004 di disciplina del settore
energetico, il giudice costituzionale, ha, infatti, chiarito che “improprio è
il riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., poiché il potere
di predeterminare eventualmente – sulla base di apposite disposizioni di legge
– i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali”, anche nelle materie che la Costituzione affida alla competenza legislativa
delle Regioni, non può trasformarsi nella pretesa dello Stato di disciplinare e
gestire direttamente queste materie, escludendo o riducendo radicalmente il
ruolo delle Regioni. In ogni caso, tale titolo di legittimazione può essere
invocato solo «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa
nazionale definisca il livello essenziale di erogazione», mentre esso non è
utilizzabile «al fine di individuare il fondamento costituzionale della
disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali»” (cfr. anche la
sentenza n. 285 del 2005).
Il secondo dubbio di
legittimità – che potrebbe essere fatto valere dinanzi alla Corte dalla Regione
– riguarda la mancata partecipazione degli Enti locali ai procedimenti
amministrativi. La legge n. 239 del 2004 aveva riconosciuto agli Enti locali il
diritto di partecipare ai procedimenti amministrativi finalizzati al rilascio
di un titolo minerario; successivamente, la legge n. 99 del 2009 ha limitato
questo diritto al procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione per il pozzo
esplorativo e per la costruzione degli impianti e delle infrastrutture connesse
alle attività di perforazione; ora il decreto-legge n. 133/2014 estromette
completamente gli Enti locali dalla partecipazione ad ogni tipo di procedimento. E ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 118 Cost., che disciplina l’esercizio
delle funzioni amministrative, in quanto, alla luce dell’orientamento del
giudice costituzionale, l’esercizio di tali funzioni da parte dello Stato può ritenersi
legittimo solo in quanto si assicuri “la partecipazione dei livelli di governo
coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque,
(attraverso) adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle
funzioni amministrative allocate
agli organi centrali” (Corte costituzionale, sentenza n. 6 del 2004; v. anche
sentenza n. 303 del 2003 e sentenza n. 383 del 2005).
I Comuni, tuttavia, non
possono impugnare direttamente la legge di conversione dinanzi alla Corte costituzionale
(cfr. ancora la sentenza n. 303 del 2003).
Questo non toglie, però,
che il ricorso possa essere promosso dalle Regioni: mentre, infatti, con la
sentenza n. 196 del 2004 (in tema di condono edilizio) la Corte aveva ammesso
che la Regione potesse impugnare una legge o di un atto avente forza di legge
dello Stato lesivi della competenza degli Enti locali solo in quanto vi fosse stata una stretta connessione con la
lesione della competenza regionale, dopo la sentenza n. 298 del 2009 la Corte
ha riconosciuto alle Regioni la possibilità di censurare la legge statale anche per la violazione delle attribuzioni
degli Enti locali “indipendentemente dalla prospettazione della violazione
della competenza legislativa regionale”.