Il controverso documento che contiene la S.E.N. si articola in 139 pagine di testo.
Sovente ripetitivo, nei suoi
primi dieci mesi di vita, strada facendo si è trasformato nel cilindro del
celebre Mago Houdini: ognuno ci legge ciò che più reputa conveniente ed
opportuno.
Non si può affermare,
tuttavia, che in questo caso la colpa sia tutta del lettore non acculturato o
dell’interprete smaliziato: una scrittura meno ambigua, che non mettesse
assieme le parole “produzione sostenibile” ed “idrocarburi nazionali” o il
superamento degli obiettivi di decarbonizzazione definiti nella Roadmap 2050
con il rilancio delle attività legate ai combustibili fossili, tacendo peraltro
sul redivivo carbone, avrebbe reso tutto meno opaco.
Ci sono tuttavia alcuni
aspetti della S.E.N. che meritano di essere considerati: il richiamo
all’obiettivo dell’efficientamento energetico e la prevista reintroduzione
della carbon tax.
In entrambi i casi abbiamo a
che fare più con enunciazioni teoriche, soprattutto nel secondo, che non piani
d’azione coerenti con gli obiettivi della Strategia Energetica Nazionale.
EFFICIENTAMENTO -
“Fare di più con meno” non risponde soltanto a quella logica di ottimizzazione
che connota il sistema capitalistico ma anche a principi di sobrietà -da non
confondersi con quello di “austerità”- che riconosciamo come parte del nostro
patrimonio culturale e che segna, nella nostra visione dell’economia, lo
spartiacque tra una buona ed una cattiva “crescita”.
Dal dire al fare … Recita
testualmente la S.E.N. a pagina 42: “Dato che le azioni di efficienza
energetica hanno spesso un ritorno economico positivo, in uno scenario
puramente razionale, ci si aspetterebbe che tali azioni e investimenti si
realizzino spontaneamente, guidati dalle logiche economiche e dal mercato. Il
meccanismo virtuoso è però ostacolato da numerose barriere all’adozione di tecnologie
per l’efficientamento, diverse in base al settore”.
Segue un’analisi settoriale
(industria, edilizia residenziale, trasporti, pubblica amministrazione, ecc.)
sia delle criticità sia delle misure adottate e da adottare. Ricordare come
poco o nulla sia stato fatto in materia di mobilità e di urbanistica
sostenibile (es.: con le smart cities), di ammodernamento dell’azione della
pubblica amministrazione, di investimento nella ricerca piuttosto che di
incentivazione alla conversione in senso “green” di taluni processi produttivi
che sprecano risorse ed impattano sull’ambiente, sarebbe fin troppo scontato.
Preme invece porre in evidenza
una contraddizione ancora più stridente: la S.E.N.: pone tra i propri obiettivi
l’efficientamento energetico. Afferma essa stessa che esistono oggettive
barriere all’adozione di nuove tecnologie “not energy intensive” o “not CO2
intensive” che dir si voglia. Individua le criticità e disegna linee, anche
finanziarie, di intervento. Ma non ritengono gli ideologi della S.E.N. che, “in
uno scenario puramente razionale”, nel momento in cui la politica energetica
del nostro Paese marcia verso l’obiettivo del rilancio delle fonti fossili
-carbone incluso-, gli investitori siano dissuasi dallo scommettere su ricerca
ed innovazioni tecnologiche “green” ed indotti invece a puntare su progetti con
payback meno lunghi?
Così Il Presidente di
Confindustria: “La green economy ha un ruolo chiave nella sfida ambientale
lanciata a livello europeo con l'accordo 20-20-20, deve essere trasformata in
un'opportunità di crescita tecnologica e industriale per il nostro paese. Il
pilastro portante della green economy in Italia è individuabile nell'industria
dell'efficienza energetica”.
"Abbiamo realizzato uno
studio sull'impatto economico dell'efficienza energetica. Oggi ci sono 250
imprese coinvolte nella domanda per investimenti per l'efficienza. Nel periodo
2014-2020 con l'adozione delle proposte suggerite dal nostro studio si potrebbe
avere incremento della produzione industriale di 65 miliardi all'anno e un
aumento dell'occupazione di circa 500 mila unità".
Le affermazioni perentorie di
Giorgio Squinzi si commentano da sole. Ancor più eloquenti quelle di Guido
Barilla: “Confindustria si occupi dei produttori, fuori i servizi” come Eni,
Enel o Ferrovie.
C’è un ulteriore elemento di
cui occorre tener conto: la S.E.N. indica tra le priorità d’azione -sette in
tutto- la “Produzione sostenibile di idrocarburi nazionali”. In tutto questo il
nostro Paese agisce in modo coerente con quanto sta avvenendo anche in Grecia,
Albania, Montenegro, ecc., e all’interno di un contesto internazionale in cui,
secondo il Fondo Monetario Internazionale, tra tutte le fonti energetiche
quelle più incentivate sono proprio quelle fossili.
Il rischio paventato dal noto Gruppo
Bancario HSBC, è che premendo l’acceleratore sulle “fossili”, reso ancor più
frizzante dalle varianti shale gas e shale oil, la comunità internazionale stia
alimentando il rischio di una nuova bolla speculativa (v.
http://qualenergia.it/articoli/20130204-finanza-fossili-e-allarme-di-hsbc-attenti-alla-bolla-della-co2)
con tutte le nefaste conseguenze del caso.
CARBON
TAX
- Last but non least, la CARBON TAX che troviamo alle pagine 73, 77 e 98 della
S.E.N.. Data per scontata la condivisione del fondamento della Carbon Tax (“Chi
più emette biossido di carbonio in atmosfera più paga”), nelle intenzioni dei
redattori della S.E.N. l’introduzione della Carbon Tax avrebbe dovuto apportare
le risorse finanziarie necessarie anche per alleggerire il peso degli incentivi
alle “rinnovabili” o di futuri interventi finalizzati all’efficientamento
energetico.
E invece … nel lessico della
politica italiana “Carbon Tax” è diventata oramai parola tabù e per alleggerire
il peso in bolletta degli incentivi alle “rinnovabili” il Governo si è
inventato un sistema di rimodulazione volontaria degli incentivi (detto “spalma
incentivi”), prevedendolo nel Decreto “Destinazione Italia”.
Enrico
Gagliano
Comitato
Abruzzese per la Difesa dei Beni Comuni (aderente al Coordinamento Nazionale NO
TRIV).
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