mercoledì 21 settembre 2011

Le riprese audiovisive in Consiglio comunale

1. Il 22 settembre prossimo, il Consiglio comunale di Casalbordino deciderà se adottare un “regolamento sulla disciplina delle audio/videoregistrazioni e trasmissione delle sedute pubbliche del Consiglio comunale”. La bozza di regolamento non è ovviamente disponibile. Ma nella seduta del 29 agosto scorso, il sindaco di Casalbordino ha avuto modo di affrontare l’argomento, distribuendo per l’occasione una “nota” e dandone pubblica lettura: la questione concerneva l’autorizzazione alla ripresa audio e video della seduta del Consiglio e la successiva pubblicazione su un blog da parte di un Consigliere comunale. A sostegno del diniego opposto alle riprese audio e video, il Sindaco si è richiamato ad una recente sentenza del TAR Veneto (16 marzo 2010, n. 826). Con questa pronuncia, il giudice amministrativo ha dato torto ad un Gruppo consiliare e ad un’Associazione del Comune di Stra (Venezia), che chiedevano di poter filmare le sedute del Consiglio comunale e di poterne divulgare successivamente le immagini.
Non è certo questa la sede per discutere nel dettaglio la pronuncia citata (o altre più recenti decisioni, che, in verità, giungono a conclusioni del tutto opposte a quelle del TAR Veneto: v. ordinanza del TAR Catania dell’8 luglio 2011); tuttavia, quella pronuncia, richiamata dal Sindaco di Casalbordino, mi dà l’occasione per svolgere alcune considerazioni sul tema.

2. Dal punto di vista costituzionale, la possibilità di effettuare riprese audiovisive (e di diffondere successivamente quanto filmato) si configura come un autentico diritto di libertà: quello di informare liberamente chiunque, come stabilito dall’art. 21 della Costituzione. Eventuali limiti al diritto di informazione non possono che promanare dalla Carta costituzionale. L’informazione, pertanto, è vietata nel caso in cui leda il buon costume o nell’ipotesi in cui violi le altre libertà fondamentali, tutelate anch’esse dalla Costituzione. Anche ammesso che la questione investa il diritto alla riservatezza – come sembra postulare il TAR – dovrebbe comunque ritenersi quanto segue: il diritto all’informazione è tutelato direttamente in Costituzione (art. 21 Cost.); il diritto alla privacy – almeno nei termini evocati dal TAR e dal Consiglio comunale di Casalbordino – è tutelato solo dalla legge. E poiché la Costituzione prevale gerarchicamente sulla legge, nel caso in cui dovesse profilarsi una ipotesi di conflitto tra i due diritti, la manifestazione del pensiero non potrebbe essere sacrificata sull’altare della privacy. Questo discorso non vale ovviamente per i casi in cui la riservatezza si accompagni all’esercizio di altre libertà costituzionali (quali ad es. la comunicazione e la corrispondenza o il domicilio).

3. È comunque sorprendente che nella sua sentenza il TAR Veneto non avverta mai la necessità di richiamarsi all’art. 21 della Costituzione. Se non un’unica volta; in una citazione, che, però, è presa di peso da un parere dell’Autorità Garante del 2002. Il giudice amministrativo, a dirla tutta, parrebbe mosso da tutt’altra preoccupazione: quella di verificare se la richiesta del Gruppo consiliare sia legittima dal punto di vista del diritto alla privacy, disciplinato (in vario modo) da più atti normativi. Parrebbe, lo si ripete. Giacché nella pronuncia la questione del trattamento dei dati personali delle persone fisiche tende a sovrapporsi continuamente ad altre questioni: ad esempio all’esigenza di garantire “l’intrinseco decoro dello stesso organo consiliare”, che non consentirebbe al consigliere di “tramutarsi sistematicamente in cineasta e riprendere i colleghi, a proprio piacimento, durante le sedute del Consiglio”, senza con ciò non scadere in una “riprovevole spettacolarizzazione della politica”. Come siamo messi.
Ma seguiamo pure la linea interpretativa del diritto alla privacy: si converrà che il problema lambisce solo in parte (e non principalmente) la questione della riservatezza, in quanto, per definizione, l’esercizio di una funzione pubblica mal si accorda con l’idea che la funzione stessa possa essere svolta in modo “riservato”. Qui il decoro dell’ente o la privacy del Consigliere c’entrano ben poco. E solo in casi eccezionali sarebbe, dunque, legittimo impedire che chiunque diffonda quanto pubblicamente si discute e decide in seno al Consiglio. Per esempio quando si affrontino questioni che involgono “dati sensibili” delle persone fisiche o giuridiche. Ciò non toglie, ovviamente, che il Sindaco possa vietare le riprese audiovisive, quando si tratti di garantire lo svolgimento pacifico dei lavori. Ma una volta che questo rischio non sussista – perché ad es. la ripresa è effettuata da postazione fissa, senza operatori, ecc. – ogni limitazione del diritto risulterebbe illegittima.

4. La soluzione che al problema danno il TAR Veneto e il Sindaco di Casalbordino non può essere condivisa. Essi infatti sembrano propensi a generalizzare il divieto attraverso le previsioni del regolamento comunale. Nella sentenza del giudice e nella nota del Sindaco si evocano in proposito diversi atti normativi; e, tra questi, il Testo Unico sugli Enti locali del 2000. Il quale, all’art. 10, stabilisce: “tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea motivata dichiarazione del Sindaco o del Presidente della provincia che ne vieta l’esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese”.
Ebbene, se si ritenesse che il regolamento del Consiglio possa vietare in modo generalizzato la diffusione attraverso il web o la stampa di documenti, filmati, immagini, ecc., l’art. 10 sarebbe per certo illegittimo, pocihé solo la legge potrebbe recare una disciplina della libertà di informazione (e non il regolamento del Consiglio, che è un atto amministrativo). In questa prospettiva, allora, il TAR Veneto avrebbe dovuto procedere diversamente; ossia: sospendere il giudizio in corso e investire della questione la Corte costituzionale.

ENZO DI SALVATORE

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