venerdì 22 luglio 2011

I regolamenti nello Statuto della Regione Lombardia

1. Lo Statuto della Lombardia è stato uno degli ultimi ad essere approvato e ciò ha permesso agli esperti ed ai consiglieri lombardi di muoversi sulla strada tracciata dalla Consulta. La Commissione speciale per lo Statuto della Lombardia ha iniziato i propri lavori il 27 febbraio 2007 per regalare alla Regione un testo al passo coi tempi che rimpiazzasse quello approvato nel 1971. Dopo circa un anno il Consiglio Regionale lo ha approvato, in seconda lettura, a larga maggioranza.

2. Prima dell’entrata in vigore del nuovo Statuto, l’organizzazione ed il funzionamento della Regione Lombardia erano basati sul testo risalente al 1971. Ai sensi degli artt. 6 e 37 dello Statuto previgente, la potestà regolamentare e quella legislativa erano esercitate dal Consiglio regionale, che non poteva delegarle. Il Presidente della Giunta, invece, promulgava i regolamenti deliberati dal Consiglio (art. 33). In pratica, la potestà regolamentare e quella legislativa erano concentrate in capo al Consiglio. Inoltre, l’iter da seguire per la formazione dei regolamenti era pressoché identico a quello previsto per la formazione delle leggi. L’unica differenza era data dal controllo, che, per i regolamenti, era lo stesso degli atti amministrativi. Non solo. Il regolamento poteva essere impugnato dal Governo per conflitto di attribuzioni e dai privati di fronte al Tar, mentre le leggi regionali erano impugnabili esclusivamente in via incidentale o in via principale di fronte alla Corte costituzionale. Per tali motivi le Regioni hanno sempre privilegiato la legge rispetto al regolamento. Questo tema è stato affrontato anche in seno alla Commissione per lo Statuto lombardo. Gli statuti già approvati dalle altre Regioni sono stati oggetto delle relazioni degli esperti, dalle quali è emersa la preferenza per la soluzione mista, con la suddivisione del potere regolamentare tra i due organi regionali. Solo lo Statuto della Regione Abruzzo ha attribuito la potestà regolamentare esclusivamente al Consiglio regionale lasciando alla Giunta e ad ogni singolo consigliere il potere d’iniziativa. Lo Statuto approvato dalla Regione Puglia, invece, attribuisce alla Giunta il potere regolamentare, nella forma dei regolamenti esecutivi, di attuazione, di integrazione, nonché dei regolamenti delegati dallo Stato (art. 44, c. 1).
Dopo tante discussioni, la Commissione ha trovato una non facile soluzione di equilibrio, che vede, da un lato, l’attribuzione del potere regolamentare alla Giunta e, dall’altro, l’introduzione di alcuni contrappesi, volti a riequilibrare la posizione del Consiglio. In particolare, il parere obbligatorio che deve essere rilasciato dalla Commissione consiliare competente entro sessanta giorni, trascorso il quale s’intende favorevole.
La legge costituzionale n. 1/1999 ha modificato il secondo comma dell’art. 121 Cost. eliminando le parole “e regolamentari” e, per la prima volta, ha distinto tra promulgazione delle leggi ed emanazione dei regolamenti ad opera del Presidente della Regione. Le Regioni avevano interpretato la norma riformata nel senso di un’attribuzione automatica alla Giunta della potestà regolamentare, nonostante i vecchi statuti, fedeli all’art. 121 Cost., assegnassero la competenza al Consiglio. Sul punto si è espresso anche il Tar Lombardia con la sentenza n. 282 del 2002. Secondo i giudici del Tar ambrosiano l’attribuzione diretta della potestà regolamentare alle Giunte “non pare del tutto in linea con le regole che presiedono al sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico italiano, fondato, come è noto, sul principio di tassatività delle fonti primarie e per le fonti di rango secondario su quello di legalità”. A distanza di poco più di un anno, il Tar lombardo è intervenuto nuovamente: “Le modifiche apportate all’art. 121 Cost. dalla l. cost. 1/1999, infatti, hanno determinato l’abolizione della riserva di regolamento in capo al Consiglio regionale, ed hanno comportato una riformulazione della norma, la quale induce a ritenere che – a livello regionale – il potere regolamentare possa spettare sia al Consiglio che alla Giunta” (sent. 2385/2003).
Con la sentenza n. 313 del 2003, la Consulta ha rimesso ai nuovi Statuti la scelta relativa alla titolarità del potere regolamentare ripristinando la potestà consiliare.

3. L’art. 32, comma 2, dello Statuto impone agli atti regolamentari di fare sempre “espresso riferimento alla fonte da cui discendono”. In ossequio a tale principio, sono, quindi, esclusi i regolamenti “indipendenti”, che, com’è noto, regolano le materie in cui manchi la disciplina legislativa.
Gli artt. 41 e 42 elencano i regolamenti regionali che possono essere approvati dalla Giunta: a) di esecuzione e di attuazione di leggi regionali; b) di delegificazione; c) delegati; d) attuativi ed esecutivi di atti comunitari:
a) i regolamenti di esecuzione e di attuazione hanno la funzione di attuare e specificare quanto già disposto da una legge regionale;
b) per i regolamenti di delegificazione, secondo il modello di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, è necessaria una legge di autorizzazione del Consiglio regionale, che stabilisca i principi e le norme generali regolatrici della materia e che disponga l’abrogazione delle disposizioni di legge con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento. Questi regolamenti sono stati al centro del dibattito in seno alla Commissione per lo Statuto. Il prof. D’Andrea ha sollevato qualche perplessità sulla reale esigenza di replicare modelli normativi, che hanno una specifica ragione d’essere a livello statale. Anche il consigliere Muhlbauer ha espresso le sue preoccupazioni temendo la morte del Consiglio con l’introduzione della delegificazione, che avrebbe portato ad un trasferimento del potere legislativo in capo alla Giunta. Queste preoccupazioni erano giustificate visto che, inizialmente, il progetto di Statuto prevedeva una riserva assoluta di legge in materia di diritti civili e sociali: “Per quanto di competenza della Regione” – si leggeva all’art. 39, comma 2 (poi 37, comma 2), del progetto – “la regolazione delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali è riservata in modo assoluto alla legge regionale”. Questa disposizione è stata scritta prendendo spunto dall’art. 117 della Costituzione, nella parte in cui si richiamano i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. La riserva di legge è legata a tutta la sfera dei diritti civili e sociali, intesi come i diritti garantiti dal Titolo II (rapporti civili) e dal Titolo III (rapporti etico-sociali) della Costituzione. Una riserva di questo tipo risulterebbe omnicomprensiva e colpirebbe ogni intervento legislativo della Regione poiché ogni sua parte sarebbe riconducibile ai diritti garantiti in Costituzione. In pratica, se la Regione volesse approvare un atto che direttamente o indirettamente incida sul livello delle prestazioni sanitarie erogate dovrebbe, anzi deve, farlo con legge regionale. In questo modo il Consiglio fa amministrazione attraverso un atto legislativo ma che di fatto è amministrativo: è il noto fenomeno delle leggi-provvedimento. In sostanza s’impedirebbe alla Giunta di operare in concreto. Secondo Mangia, la Costituzione prevede già delle riserve di legge su questi diritti, per cui potrebbero emergere dei problemi. Ad es. l’art. 32 Cost. contiene una riserva relativa. Se la riserva regionale fosse interpretata come assoluta si rischierebbe di approvare degli atti conformi allo Statuto, ma che potrebbero non essere conformi all’art. 32 della Costituzione. A tal proposito, nella seduta del 5 marzo 2008 la Commissione ha trovato una soluzione di compromesso inserendo nell’art. 14, comma 1, tra le funzioni del Consiglio regionale, quella di “dettare con legge le norme di carattere generale inerenti alla garanzia dei diritti civili e sociali” e dunque una riserva relativa di legge regionale per questo oggetto. Con questa modifica è cambiata anche la rubrica che non è più riserva statutaria di legge regionale, ma potestà legislativa e regolamentare della Regione. Così viene fatta salva la competenza regionale a dettare con legge norme di carattere generale inerenti la garanzia dei diritti civili e sociali;
c) i regolamenti delegati sono quei regolamenti delegati dallo Stato alle Regioni in materie di sua competenza legislativa esclusiva. L’art. 117, comma 6, Cost., che riconosce allo Stato la facoltà di demandare alle Regioni l’integrazione e l’attuazione di dette leggi, ha ricevuto l’avallo della Consulta, in particolare con la sentenza n. 2 del 2004.
In merito ai regolamenti delegati, lo Statuto della Lombardia prevede una disciplina del tutto peculiare rispetto agli altri Statuti. All’art. 41, comma 3, lo Statuto lombardo stabilisce che tali regolamenti siano adottati dal Consiglio regionale, il quale, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, può attribuire detta potestà alla Giunta, previo parere obbligatorio della Commissione consiliare competente. Come ha affermato Tarli Barbieri, detta previsione apre ad una sorta di “cogestione, potenziale, tra Consiglio e Giunta”. Secondo chi scrive, l’attenzione va posta sul parere della Commissione, al fine di evidenziare una notevole differenza con i regolamenti governativi. L’art. 17 della l. n. 400 del 1988 definisce l’iter da seguire per la loro emanazione facendovi rientrare anche il parere del Consiglio di Stato. Come sottolineato dal prof. Mangia nei lavori preparatori allo Statuto lombardo, la previsione di un parere della Commissione è assolutamente anomala nell’ordinamento italiano perché, di solito, è un organo tecnico che fornisce il parere affinché non sia politico, in quanto il regolamento per essere tale deve essere espressione della discrezionalità amministrativa. Non è un unicum nel panorama giuridico italiano. In merito all’adozione dei decreti legislativi, l’art. 14, comma 4, della l. n. 400 del 1988 prevede che qualora il termine previsto per l’esercizio della delega ecceda i due anni, il Governo sia tenuto a richiedere il parere delle Camere, che è espresso entro sessanta giorni dalle Commissioni permanenti competenti per materia. Dopodiché il Governo esamina il parere e lo ritrasmette, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, alle Commissioni per il parere definitivo. Infine, non bisogna confondere i regolamenti delegati con quelli esecutivi. Questo tema è stato affrontato anche dalla Commissione speciale per lo Statuto della Regione Lombardia. Infatti, come emerge dalla lettura dei verbali, D’Andrea ha sottolineato che la differenziazione fra regolamenti delegati dallo Stato alla Regione e regolamenti esecutivi spiega la diversa ripartizione di competenza: gli uni al Consiglio, gli altri alla Giunta. I regolamenti provenienti dallo Stato “più importanti” di quelli che spettano alla Giunta;
d) per quanto riguarda la trasposizione del diritto dell'Unione Europea nell'ordinamento interno, la Regione Lombardia può adottare i regolamenti di attuazione ed esecuzione di atti dell'UE, nelle materie di sua competenza, al fine di dar seguito agli obblighi che discendono dall'appartenenza dell'Italia all'UE In seno alla Commissione per lo Statuto si è avuto un acceso dibattito anche in materia di politiche comunitarie (rectius: dell’Unione Europea). La riforma del titolo V, la Legge La Loggia (2003) e la Legge Buttiglione (2005) hanno innovato sensibilmente la disciplina. La riforma costituzionale ha ampliato la competenza delle Regioni prevedendo che, nelle materie di loro competenza, queste partecipino alla formazione degli atti normativi dell’Unione e siano competenti in ordine alla loro attuazione, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge statale (art. 117, comma 5, Cost.).
Tutto ciò ha inciso anche sullo Statuto della Lombardia. Infatti, l’art. 39, comma 1, stabilisce che “la Regione adegua il proprio ordinamento a quello comunitario anche attraverso apposita legge regionale, con la quale si provvede a dare diretta attuazione alla normativa comunitaria. La legge dispone inoltre che all’attuazione si possa provvedere nell’ambito dei principi da essa determinati con regolamenti regionali, indicando altresì gli atti normativi comunitari da attuare per via amministrativa”.
Alla fine la Commissione ha optato per la legge comunitaria regionale come disciplinata dall’art 39, quindi, attribuendo al Consiglio Regionale il compito di recepire la normativa europea. Il secondo comma di detto articolo, però, apre alla Giunta Regionale; ivi, infatti, si stabilisce: “La legge dispone inoltre che all’attuazione si possa provvedere nell’ambito dei principi da essa determinati con regolamenti regionali, indicando altresì gli atti normativi comunitari da attuare per via amministrativa”.

NICOLA PISCIAVINO

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