venerdì 7 giugno 2013

La Basilicata, il petrolio e la Corte costituzionale

Con l’art. 37 della legge n. 16 del 2012 la Regione Basilicata aveva stabilito che, a partire da quel momento, non avrebbe più rilasciato alcuna intesa con lo Stato per il conferimento di nuovi titoli minerari in ordine alla prospezione, alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi[1]. Il Governo aveva, però, impugnato quella legge dinanzi alla Corte costituzionale, sostenendo che l’art. 37 violasse la Costituzione in più parti. Lese, a suo parere, erano: la competenza dello Stato sull’energia, sul governo del territorio e sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni; il principio di leale collaborazione (tra lo Stato e la Regione); il rispetto dei vincoli che derivano dal diritto dell’Unione europea; la libertà di iniziativa economica (e i principi di ragionevolezza e proporzionalità che sempre devono accompagnare le limitazioni di tale libertà). Di contro, la difesa della Regione aveva sostenuto di “non comprendere” come mai il rifiuto fosse legittimo se reso “caso per caso” in via amministrativa e illegittimo, invece, se manifestato con legge, utilizzando, cioè, “uno strumento espressivo di una maggiore rappresentatività democratica”: il problema, a suo dire, toccava solo la forma e non la sostanza di quel rifiuto.
Con la sentenza n. 117/2013, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 37 della legge lucana. Nessuna meraviglia: che fosse illegittima lo si era detto da subito[2].
Questo però non toglie che il ragionamento seguito dal giudice costituzionale sia non del tutto svolto e a tratti nebuloso.

Nella sua stringatissima pronuncia (mezza pagina appena), la Corte afferma che l’art. 37 della legge “ricade sia nell’ambito della competenza legislativa «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», che in quello del «governo del territorio»” ovvero entro due diverse materie di competenza legislativa “concorrente” (in base alla quale lo Stato è competente a stabilire i principi fondamentali della materia e la Regione ad adottare la normativa di dettaglio).
In ragione del fatto che l’energia e il governo del territorio siano materie di competenza “concorrente”, la Corte valuta la scelta espressa dal Parlamento nella legge n. 239 del 2004 come del tutto “ragionevole”. Ragionevole, in altri termini, sarebbe la previsione contenuta in quella legge, ove le “determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria” sono affidate allo Stato, il quale, con riferimento alla sola terraferma, le adotta “di intesa con le regioni”.
In questo modo – prosegue la Corte – “il legislatore statale ha preso atto dell’interferenza di competenze di Stato e Regioni ed ha individuato lo strumento per risolvere i possibili conflitti nell’atto maggiormente espressivo del principio di leale collaborazione. Questa Corte ha affermato la necessità dell’intesa con riferimento alla stessa normativa statale che viene in rilievo nel presente giudizio, che si deve intendere implicitamente richiamata in tutte le disposizioni legislative sul medesimo oggetto (sent. 383 del 2005)”. Conclusione: “la preventiva e generalizzata previsione legislativa di diniego di intesa vanifica la bilateralità della relativa procedura, che deve sempre trovare sviluppo nei casi concreti, e si pone in simmetrica corrispondenza con le norme che hanno introdotto la «drastica previsione» della forza decisiva della volontà di una sola parte – sia essa, di volta in volta, lo Stato, la Regione o la Provincia autonoma – ritenute costituzionalmente illegittime da questa Corte con giurisprudenza costante”.
Mi limito ad alcune breve considerazioni:

1) Secondo la Corte la questione tocca due materie: l’energia e il governo del territorio.
Non è questa la sede per spiegare più a fondo perché – a rigore – le attività di “prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi” non ricadano affatto entro la materia dell’energia: questo è quello che afferma la legge dello Stato (legge n. 239 del 2004), non quello che dispone la Carta costituzionale, che considera come materia concorrente unicamente le attività di “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia” [3].
Osservo che la materia “governo del territorio” esula dal problema portato all’attenzione della Corte, posto che detta materia ha riguardo all’edilizia e all’urbanistica. In quanto tale, essa avrebbe immediato rilievo solo se il diniego al rilascio dell’intesa riguardasse anche l’insediamento degli impianti petroliferi (per es. le raffinerie); ma in questo caso l’art. 37 – nonostante si richiami espressamente alla materia “governo del territorio” – afferma che il rifiuto al rilascio dell’intesa concerne le attività considerate “dall’art. 1, comma 7, lettera n), della legge 23 agosto 2004, n. 239” ovvero le “determinazioni” in ordine alla prospezione, alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi. D’altra parte, le “infrastrutture” e gli “insediamenti strategici” sono considerati dalla legge dello Stato nella lettera i) e non nella lettera n) del comma 7 dell’art. 1; e, del resto, una disciplina più particolareggiata degli impianti è posta nei commi da 77 a 82 sexies, come introdotti dalla legge n. 99 del 2009.
Ad ogni modo, anche a voler sostenere che persino le determinazioni delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi siano in condizione di coinvolgere la materia “governo del territorio”, occorrerebbe ammettere che, proprio sulla scorta della stessa giurisprudenza costituzionale, il criterio da seguire sia quello della prevalenza della materia (v. ad es. sentenze n. 278 e n. 331 del 2010); e qui a prevalere – sempre secondo l’impostazione che del problema ormai si dà – è appunto l’energia.

2) La Corte ritiene “ragionevole” la soluzione adottata dalla legge dello Stato e perfettamente coerente con il quadro costituzionale. Ma questa soluzione si riassume di fatto nell’espropriazione della competenza regionale tutta a vantaggio dello Stato. Cosa resta, infatti, nelle mani della Regione? Solo la possibilità di stringere un’intesa con lo Stato. Qui non è in discussione – sia chiaro – l’esito cui perviene la Corte (l’illegittimità della previsione legislativa del diniego da parte della Regione Basilicata), ma il presupposto (non esplicitato) in base al quale la disciplina costituzionale della competenza concorrente si riassumerebbe ormai in una contrazione della competenza legislativa della Regione.

3) In un passaggio della sentenza la Corte afferma che la necessità del raggiungimento dell’intesa si deve intendere “come implicitamente richiamata in tutte le disposizioni legislative sul medesimo oggetto”. Cosa vuol dire questo? Che il rilascio di qualsiasi titolo – come disciplinato dai commi 77-82 sexies sopra richiamati – deve essere sempre preceduto da un’intesa con la Regione?

4) L’art. 37 della legge lucana si pone in aperto contrasto con la ratio stessa del principio di leale collaborazione. Su questo non ci piove. E la Corte aggiunge che tale principio “impone il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative”. Domanda: e se non si perviene ad alcun accordo? Ricordo che il decreto sviluppo del 2012, poi convertito in legge dal Parlamento, ha stabilito che in caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa previsti dall’art. 1, comma 7, della legge n. 239 del 2004, il Governo procederà comunque al rilascio del titolo[4]. Ora, attraverso il richiamo alla sentenza n. 383 del 2005 – effettuato dalla Corte nella pronuncia che qui si commenta – sembrerebbe che il giudice costituzionale voglia confermare quanto a suo tempo sostenuto, e cioè che nel caso di reiterate trattative lo Stato non potrebbe far da sé: competente a risolvere il problema potrebbe essere lo stesso giudice costituzionale in sede di conflitto di attribuzione.

ENZO DI SALVATORE


[1] Art. 37: “1. La Regione Basilicata nell’esercizio delle proprie competenze in materia di governo del territorio ed al fine di assicurare processi di sviluppo sostenibile, a far data dall’entrata in vigore della presente norma non rilascerà l’intesa, prevista dall’art. 1, comma 7, lettera n), della legge 23 agosto 2004, n. 239, di cui all’accordo del 24 aprile 2001, al conferimento di nuovi titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi. 2. Le disposizioni della presente norma si applicano anche ai procedimenti amministrativi in corso per il rilascio dell’intesa sul conferimento di nuovi titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi. 3. Sono fatte salve le intese relative a titoli minerari in essere”.
[2] V. E. Di Salvatore, La Basilicata dice no al petrolio: una legge inutile e illegittima (2 agosto 2012), ripubblicato ora in Id., Ambiente fragile, Galaad Edizioni, Giulianova, 2013, p.127 ss.
[3] Su questo – con cui si intende anche modificare l’opinione espressa in precedenti scritti – rinvio il lettore ad un lavoro di prossima pubblicazione dal titolo La Regione Siciliana e il problema della competenza legislativa sugli idrocarburi.
[4] Questa previsione legislativa è stata impugnata dalla Regione Basilicata dinanzi alla Corte costituzionale (cfr. La Regione Basilicata contro lo Stato (3 ottobre 2012), in Ambiente fragile, cit., 130 ss.). Vedremo quel che stabilirà la Corte.

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