L’art. 121 della Costituzione italiana aveva attribuito in capo al Consiglio regionale l’esercizio esclusivo della potestà legislativa e della potestà regolamentare. Tuttavia, in assenza di una disciplina che consentisse una approvazione dei regolamenti più snella e agevole rispetto a quella prevista per l’adozione delle leggi, i Consigli regionali finirono presto per ritenere non “conveniente” il ricorso alla potestà regolamentare. Tanto fu plateale il fenomeno che alcuni lo definirono come l’età dei “regolamenti dimenticati”. Così, detto potere transitò di fatto nelle mani delle Giunte regionali, le quali procedettero sovente all'adozione di atti formalmente amministrativi, ma dal contenuto sostanzialmente regolamentare.
In questo modo si aggirò il
divieto posto in Costituzione.
La
legge costituzionale n. 1 del 1999
ha modificato l’art. 121 della Costituzione, sopprimendo
formalmente dalle attribuzioni del Consiglio regionale l’esercizio della
potestà regolamentare. Ciò ha dato la stura ad una situazione di grave
incertezza, posto che taluni hanno sostenuto che in ragione di questo si fosse
determinato un automatico passaggio della potestà regolamentare in capo alla
Giunta regionale.
Con
la sentenza n. 131 del 2003, la Corte costituzionale ha però sciolto il
problema, avendo sostenuto che la modifica apportata all’art. 121 Cost. non
comportasse in nessun modo un automatico passaggio della potestà regolamentare
dal Consiglio alla Giunta. Secondo il giudice costituzionale, ogni Regione
avrebbe potuto liberamente disciplinare attraverso il suo Statuto l’attribuzione
di detta competenza. Ma mentre ovunque si è finito per attribuire la potestà
regolamentare in capo alla Giunta, in Abruzzo si è deciso di seguire una strada
diversa: l’art. 13, comma 1, dello Statuto abruzzese del 2006 ha , infatti,
conservato in capo al Consiglio l’esercizio della potestà regolamentare; in questo
modo, anche il problema della natura giuridica delle deliberazioni adottate
dalla Giunta (atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente regolamentari)
è tornato a riproporsi. Questa scelta non è stata evidentemente particolarmente
lungimirante. La dottrina maggioritaria ha infatti sottolineato come sia
necessario mantenere distinte le due funzioni, lasciando al Consiglio solo
quella legislativa e affidando quella regolamentare alla Giunta, in ragione
dell’asserita appartenenza intrinseca dello strumento normativo secondario
all’esecutivo regionale.
Lo
scorso ottobre, 12 consiglieri regionali hanno chiesto al Collegio regionale
per le garanzie statutarie di esprimersi circa la conformità di una
deliberazione della Giunta regionale allo Statuto abruzzese (la deliberazione
della Giunta recava “Indirizzi generali
di gestione delle popolazioni di cinghiale e principi generali per la gestione
delle popolazioni di cervo e caprioli”). Attraverso il loro ricorso, i
richiedenti hanno sostenuto che detta deliberazione contrastasse con l’art. 13
dello Statuto regionale abruzzese, nel quale è previsto che “Il Consiglio regionale è l’organo della
rappresentanza democratica della Regione; esercita la funzione legislativa e
regolamentare, di indirizzo e programmazione; svolge attività ispettiva e di
controllo; adempie ai compiti previsti dalla Costituzione italiana e dallo
Statuto”. Anzi, a parere dei consiglieri, l’atto della Giunta si sarebbe
posto in contrasto con lo Statuto, non solo in quanto “atto regolamentare generale ma, addirittura” perché avrebbe preteso
di apportare “modifiche di carattere
legislativo rispetto alla legge regionale 10/2004, in ciò invadendo chiaramente
la competenza riservata al Consiglio regionale”.
Con
parere n. 4, adottato il 19 ottobre scorso, il Collegio per le garanzie
statutarie ha riconosciuto che la delibera della Giunta possiede evidente
carattere regolamentare.
Nella
sua decisione, il collegio per le garanzie statutarie si richiama ad un suo
precedente parere (n. 2/2012), nonché ad una sentenza dell’adunanza plenaria
del Consiglio di Stato (n. 9/2012).
Nel
parere n. 2/2012 il Collegio ha avuto, infatti, modo di sottolineare che “Lo Statuto della Regione Abruzzo,
differenziandosi da tutte le altre Regioni, ha riservato anche la funzione
regolamentare al solo Consiglio, conferendo alla Giunta unicamente un potere di
iniziativa in materia”. In detta occasione, esso ha ricordato come, secondo
l’insegnamento della dottrina più autorevole, il regolamento si configuri quale
atto normativo, idoneo, cioè, ad innovare all’ordinamento giuridico, attraverso
disposizioni generali ed astratte; il che lo distinguerebbe da altri atti, che,
sebbene generali ed astratti, risultino, però, privi del carattere della
“novità” (es. bandi gara, concorsi, ecc.).
In
questo modo, si sono respinte soluzioni ulteriori, come quelle volte a sottolineare
la valenza politica del regolamento e cioè l’autonoma individuazione del fine
da perseguire, che, di tutta evidenza, non è un carattere tipico dell’atto
amministrativo generale. Allo stesso tempo, neppure risolutivo sarebbe il
criterio dell’autoqualificazione dell’atto, ossia il fatto che esso risulti
denominato “regolamento” (e, va aggiunto, la circostanza che esso sia emanato
dal Presidente della Regione); se così fosse, infatti, ne seguirebbe
l’attribuzione del carattere normativo a qualunque tipo di atto in modo
arbitrario; e ciò in violazione dei caratteri tipici che detti atti devono
possedere, nonché delle regole sulla produzione delle fonti del diritto.
Secondo
il Collegio abruzzese, risolutiva sarebbe una decisione della adunanza plenaria
del Consiglio di Stato (n. 9/2012), con la quale, dopo essersi registrata una
accentuazione del fenomeno della “fuga dal regolamento” (ossia l’utilizzo da
parte degli esecutivi dello Stato e delle Regioni di atti formalmente
amministrativi, ma a contenuto sostanzialmente regolamentare), si è escluso che
la disciplina di una materia possa prescindere da quanto formalmente prescritto
dalla legge n. 400 del 1988, che all’art. 17 reca una disciplina dei tipi di
regolamento e del procedimento da seguire per l’adozione degli stessi.
Il
Consiglio di Stato, dopo aver sottolineato che i caratteri della generalità e
dell’astrattezza, che contraddistinguono l’atto normativo, “non possono e non devono essere intesi nel
senso della applicabilità indifferenziata a ciascun soggetto dell’ordinamento,
ma, più correttamente, come idoneità alla ripetizione nell’applicazione e come
capacità di regolare una serie indefinita di casi”, ha precisato che si
possa discorrere di atto normativo ove i destinatari siano indeterminabili sia
a priori che a posteriori (quale conseguenza della generalità e
dell’astrattezza dell’atto); e che, invece, si debba parlare di atto
amministrativo generale laddove i destinatari dello stesso siano
indeterminabili a priori, ma determinabili a posteriori, esaurendosi l’atto, in
ragione della natura che gli è propria, in una vicenda determinata.
Risulta
pacifico affermare, pertanto, che l’atto amministrativo generale, a differenza
del regolamento, abbia come fine la regolazione di un caso specifico e che sia
sprovvisto della attitudine ad innovare all’ordinamento giuridico.
Su
queste basi, il Collegio regionale abruzzese per le garanzie statutarie ha
concluso che la delibera della Giunta regionale abruzzese n. 605/2012 possieda
tutti i requisiti ed i caratteri del regolamento, dal momento che si propone di
disciplinare in modo accurato e specifico il prelievo venatorio degli ungulati,
l’individuazione delle figure tecniche abilitate alla gestione degli ungulati,
il contenuto del piano di gestione che le province sono tenute ad adottare,
l’individuazione delle zone di caccia, le norme di sicurezza per la caccia
collettiva e l’assegnazione di potere sanzionatorio alle province.
CARLO
ALBERTO CIARALLI
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