mercoledì 12 dicembre 2012

La potestà regolamentare in Abruzzo secondo il Collegio regionale per le garanzie statutarie

L’art. 121 della Costituzione italiana aveva attribuito in capo al Consiglio regionale l’esercizio esclusivo della potestà legislativa e della potestà regolamentare. Tuttavia, in assenza di una disciplina che consentisse una approvazione dei regolamenti più snella e agevole rispetto a quella prevista per l’adozione delle leggi, i Consigli regionali finirono presto per ritenere non “conveniente” il ricorso alla potestà regolamentare. Tanto fu plateale il fenomeno che alcuni lo definirono come l’età dei “regolamenti dimenticati”. Così, detto potere transitò di fatto nelle mani delle Giunte regionali, le quali procedettero sovente all'adozione di atti formalmente amministrativi, ma dal contenuto sostanzialmente regolamentare.
In questo modo si aggirò il divieto posto in Costituzione.
La legge costituzionale n. 1 del 1999 ha modificato l’art. 121 della Costituzione, sopprimendo formalmente dalle attribuzioni del Consiglio regionale l’esercizio della potestà regolamentare. Ciò ha dato la stura ad una situazione di grave incertezza, posto che taluni hanno sostenuto che in ragione di questo si fosse determinato un automatico passaggio della potestà regolamentare in capo alla Giunta regionale.
Con la sentenza n. 131 del 2003, la Corte costituzionale ha però sciolto il problema, avendo sostenuto che la modifica apportata all’art. 121 Cost. non comportasse in nessun modo un automatico passaggio della potestà regolamentare dal Consiglio alla Giunta. Secondo il giudice costituzionale, ogni Regione avrebbe potuto liberamente disciplinare attraverso il suo Statuto l’attribuzione di detta competenza. Ma mentre ovunque si è finito per attribuire la potestà regolamentare in capo alla Giunta, in Abruzzo si è deciso di seguire una strada diversa: l’art. 13, comma 1, dello Statuto abruzzese del 2006 ha, infatti, conservato in capo al Consiglio l’esercizio della potestà regolamentare; in questo modo, anche il problema della natura giuridica delle deliberazioni adottate dalla Giunta (atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente regolamentari) è tornato a riproporsi. Questa scelta non è stata evidentemente particolarmente lungimirante. La dottrina maggioritaria ha infatti sottolineato come sia necessario mantenere distinte le due funzioni, lasciando al Consiglio solo quella legislativa e affidando quella regolamentare alla Giunta, in ragione dell’asserita appartenenza intrinseca dello strumento normativo secondario all’esecutivo regionale.

Lo scorso ottobre, 12 consiglieri regionali hanno chiesto al Collegio regionale per le garanzie statutarie di esprimersi circa la conformità di una deliberazione della Giunta regionale allo Statuto abruzzese (la deliberazione della Giunta recava “Indirizzi generali di gestione delle popolazioni di cinghiale e principi generali per la gestione delle popolazioni di cervo e caprioli”). Attraverso il loro ricorso, i richiedenti hanno sostenuto che detta deliberazione contrastasse con l’art. 13 dello Statuto regionale abruzzese, nel quale è previsto che “Il Consiglio regionale è l’organo della rappresentanza democratica della Regione; esercita la funzione legislativa e regolamentare, di indirizzo e programmazione; svolge attività ispettiva e di controllo; adempie ai compiti previsti dalla Costituzione italiana e dallo Statuto”. Anzi, a parere dei consiglieri, l’atto della Giunta si sarebbe posto in contrasto con lo Statuto, non solo in quanto “atto regolamentare generale ma, addirittura” perché avrebbe preteso di apportare “modifiche di carattere legislativo rispetto alla legge regionale 10/2004, in ciò invadendo chiaramente la competenza riservata al Consiglio regionale”.

Con parere n. 4, adottato il 19 ottobre scorso, il Collegio per le garanzie statutarie ha riconosciuto che la delibera della Giunta possiede evidente carattere regolamentare.
Nella sua decisione, il collegio per le garanzie statutarie si richiama ad un suo precedente parere (n. 2/2012), nonché ad una sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 9/2012).
Nel parere n. 2/2012 il Collegio ha avuto, infatti, modo di sottolineare che “Lo Statuto della Regione Abruzzo, differenziandosi da tutte le altre Regioni, ha riservato anche la funzione regolamentare al solo Consiglio, conferendo alla Giunta unicamente un potere di iniziativa in materia”. In detta occasione, esso ha ricordato come, secondo l’insegnamento della dottrina più autorevole, il regolamento si configuri quale atto normativo, idoneo, cioè, ad innovare all’ordinamento giuridico, attraverso disposizioni generali ed astratte; il che lo distinguerebbe da altri atti, che, sebbene generali ed astratti, risultino, però, privi del carattere della “novità” (es. bandi gara, concorsi, ecc.).
In questo modo, si sono respinte soluzioni ulteriori, come quelle volte a sottolineare la valenza politica del regolamento e cioè l’autonoma individuazione del fine da perseguire, che, di tutta evidenza, non è un carattere tipico dell’atto amministrativo generale. Allo stesso tempo, neppure risolutivo sarebbe il criterio dell’autoqualificazione dell’atto, ossia il fatto che esso risulti denominato “regolamento” (e, va aggiunto, la circostanza che esso sia emanato dal Presidente della Regione); se così fosse, infatti, ne seguirebbe l’attribuzione del carattere normativo a qualunque tipo di atto in modo arbitrario; e ciò in violazione dei caratteri tipici che detti atti devono possedere, nonché delle regole sulla produzione delle fonti del diritto.
Secondo il Collegio abruzzese, risolutiva sarebbe una decisione della adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 9/2012), con la quale, dopo essersi registrata una accentuazione del fenomeno della “fuga dal regolamento” (ossia l’utilizzo da parte degli esecutivi dello Stato e delle Regioni di atti formalmente amministrativi, ma a contenuto sostanzialmente regolamentare), si è escluso che la disciplina di una materia possa prescindere da quanto formalmente prescritto dalla legge n. 400 del 1988, che all’art. 17 reca una disciplina dei tipi di regolamento e del procedimento da seguire per l’adozione degli stessi.
Il Consiglio di Stato, dopo aver sottolineato che i caratteri della generalità e dell’astrattezza, che contraddistinguono l’atto normativo, “non possono e non devono essere intesi nel senso della applicabilità indifferenziata a ciascun soggetto dell’ordinamento, ma, più correttamente, come idoneità alla ripetizione nell’applicazione e come capacità di regolare una serie indefinita di casi”, ha precisato che si possa discorrere di atto normativo ove i destinatari siano indeterminabili sia a priori che a posteriori (quale conseguenza della generalità e dell’astrattezza dell’atto); e che, invece, si debba parlare di atto amministrativo generale laddove i destinatari dello stesso siano indeterminabili a priori, ma determinabili a posteriori, esaurendosi l’atto, in ragione della natura che gli è propria, in una vicenda determinata.
Risulta pacifico affermare, pertanto, che l’atto amministrativo generale, a differenza del regolamento, abbia come fine la regolazione di un caso specifico e che sia sprovvisto della attitudine ad innovare all’ordinamento giuridico.
Su queste basi, il Collegio regionale abruzzese per le garanzie statutarie ha concluso che la delibera della Giunta regionale abruzzese n. 605/2012 possieda tutti i requisiti ed i caratteri del regolamento, dal momento che si propone di disciplinare in modo accurato e specifico il prelievo venatorio degli ungulati, l’individuazione delle figure tecniche abilitate alla gestione degli ungulati, il contenuto del piano di gestione che le province sono tenute ad adottare, l’individuazione delle zone di caccia, le norme di sicurezza per la caccia collettiva e l’assegnazione di potere sanzionatorio alle province.


CARLO ALBERTO CIARALLI

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