venerdì 24 agosto 2012

Il riordino delle Province abruzzesi e la lenta agonia di Teramo

La proposta di riordino delle Province abruzzesi, avanzata dal Sindaco Brucchi nel corso dell’Assemblea tenutasi ieri presso la Sala polifunzionale della Provincia di Teramo, è stata largamente condivisa dai politici locali intervenuti all’incontro. Almeno questo è quanto riferisce la stampa quotidiana oggi. Di cosa si tratta? La ricetta sembra essere semplice: conservare intatte le Province di L’Aquila, Teramo e Chieti e trasformare Pescara in Città metropolitana. In questo modo, Pescara potrebbe tranquillamente cedere qualche suo Comune alla Provincia di Teramo (come ad esempio Penne) e Teramo acquisirebbe i requisiti minimi imposti dalla delibera del Governo del 20 luglio scorso: a) dimensione territoriale non inferiore a duemilacinquecento km quadrati; b) popolazione residente non inferiore a trecentocinquantamila. Una soluzione che, attraverso un taglia e cuci territoriale, finirebbe per accontentare tutti, giacché mentre quei requisiti non sarebbero necessari affinché Pescara possa costituirsi in Città metropolitana, per Teramo essi sarebbero fonte di “salvezza”. I numeri, infatti, parlano chiaro. La dimensione territoriale e la popolazione residente nelle quattro Province abruzzesi sono le seguenti: Pescara possiede 1.225 kmq e 323.184 abitanti; L’Aquila 5.034 kmq e 309.820 abitanti; Chieti 2.588 kmq e 397.123 abitanti; Teramo 1.948 kmq e 312.239 abitanti.

A mio parere, la proposta avanzata dal Sindaco Brucchi non può essere realizzata. Per due motivi: 1) Pescara non può costituirsi in Città metropolitana, in quanto le Città metropolitane sono istituite dal Parlamento e sono solo quelle elencate all’art. 18 della legge sulla “spending review”, ossia: Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria; 2) l’art. 17 della legge sulla “spending review” precisa che “il riordino deve essere effettuato nel rispetto dei requisiti minimi (…) determinati sulla base dei dati di dimensione territoriale e di popolazione, come esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al medesimo comma 2”. E cioè: al 20 luglio 2012, giorno in cui il Consiglio dei ministri ha, appunto, adottato la delibera con cui sono stati fissati i requisiti minimi. Questo vuol dire che, ai fini del riordino delle Province, il taglia e cuci territoriale è vietato e che l’accorpamento delle Province non può che avvenire in “blocco”. Circostanza, questa, del tutto trascurata da chi ieri ha preso parte all’incontro.

Se così è, resterebbe sul tappeto un’unica alternativa: 1) procedere al riordino delle Province abruzzesi, seguendo i criteri fissati dallo Stato; 2) agire in sede giurisdizionale.
1) Alla luce dei criteri fissati dalla legge dello Stato, il riordino delle Province abruzzesi comporterebbe in ogni caso la soppressione della Provincia di Teramo. Per Pescara, invece, il discorso è leggermente diverso, in quanto, qualora fosse accorpata a Chieti, diverrebbe comunque Capoluogo di Provincia, giacché la legge e la delibera del Governo stabiliscono a chiare lettere che “in esito al riordino (…) assume il ruolo di comune capoluogo delle singole province il comune già capoluogo delle province oggetto di riordino con maggior popolazione residente”.
2) Per la Provincia di Teramo, dunque, non c’è “salvezza”. A meno che – si intende – non decida di agire in sede giurisdizionale, impugnando la delibera del Consiglio dei ministri davanti al Tar (affinché poi questo sollevi la questione di legittimità della legge sulla “spending review” dinanzi alla Corte costituzionale) oppure non chieda al Consiglio delle Autonomie locali (Cal) di proporre alla Regione Abruzzo l’impugnazione in via principale dell’art. 17 della stessa legge sulla “spending review”. Soluzione, quest’ultima, non impossibile da praticare, posto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 298 del 2009, ha affermato che “le regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale”.

ENZO DI SALVATORE

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