Le considerazioni che
seguono hanno ad oggetto tre soli articoli del decreto-legge “Sblocca Italia”,
pubblicato ieri sera in Gazzetta Ufficiale: gli articoli 36, 37 e 38, relativi
agli idrocarburi liquidi e gassosi. Sono considerazioni che non ritengo
definitive, in ragione della complessità della materia, dell’ambiguo linguaggio
utilizzato dai redattori e soprattutto del fatto che più tempo occorrerebbe per
verificare quali disposizioni della frammentaria normativa finora vigente sia
stata effettivamente interessata dal decreto ossia abrogata. Compito, questo,
che richiede un tempo di gran lunga superiore a quello speso da chi ha scritto
i tre articoli. Spero comunque che le seguenti osservazioni possano essere
utili per avviare un dibattito sulle conseguenze che discenderanno dal
decreto.
Ai fini
dell’allentamento del patto di stabilità interno, l’art. 36 prevede che il
complesso delle spese finali delle Regioni sarà determinato (anche) dalle spese
da queste sostenute per favorire lo sviluppo occupazionale, lo sviluppo delle
attività economiche, il miglioramento ambientale in aree interessate da
ricerche e concessioni di coltivazione di idrocarburi e per finanziare
strumenti relativi alle attività petrolifere. Gli importi esclusi dal patto di
stabilità saranno tuttavia determinati annualmente dal Ministero dello Sviluppo
Economico, riguarderanno solo quattro anni (2015, 2016, 2017, 2018) e avranno
ad oggetto solo la differenza tra
quanto prodotto negli anni 2014, 2015, 2016 e 2017 e quanto prodotto nel 2013
(a patto che vi sia stato un incremento della produzione, si intende). Per l’utilizzo
delle royalties fuori dai casi sopra elencati sarà, invece, la legge di
stabilità per il 2015 a definire il limite dell’allentamento del patto di
stabilità interno. Compatibilmente, precisa il decreto, con gli obiettivi di
finanza pubblica.
Tutto ciò che riguarda
il gas riveste carattere strategico: non solo per l’Italia, si legge all’art.
37 del decreto, ma anche per l’Europa. Gasdotti di importazione del gas
dall’estero, terminali di rigassificazione, stoccaggi e infrastrutture di
trasporto dovranno essere realizzati rapidamente (i progetti sono per il
decreto “indifferibili e urgenti”), costituendo essi una priorità di carattere
nazionale. Il decreto li definisce di “pubblica utilità”. Questo
giustificherebbe l’apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione di
qualsiasi bene e la variazione ex lege
non solo degli strumenti urbanistici, ma anche dei “piani di gestione e di
tutela del territorio comunque denominati”: con buona pace, dunque, dei piani
di bacino, di tutela delle acque, ecc. In questo modo, le competenze degli Enti
territoriali transiterebbero in capo allo Stato e la deroga al riparto delle
competenze resterebbe giustificata dalla qualificazione della strategicità dei
progetti.
Tra le altre novità, le
Centrali e gli altri impianti di combustione “facenti parte della rete
nazionale dei gasdotti con potenza termica di almeno 50 MW” saranno soggetti ad
AIA statale.
Ma strategica, più in
generale, diviene ogni attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli
idrocarburi liquidi e gassosi, così come quella di stoccaggio sotterraneo di
gas naturale.
A tal riguardo, l’art.
38 afferma che i decreti autorizzativi di quelle attività (prospezione,
ricerca, coltivazione e stoccaggio sotterraneo del gas) dovranno contenere: 1)
la dichiarazione di pubblica utilità; 2) la dichiarazione di indifferibilità e
urgenza dell’opera; 3) l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei
beni compresi nell’opera.
Per la verità, anche la
normativa (finora) vigente discorre di pubblica utilità (e di effetto di
variante urbanistica derivante dal rilascio del titolo), ma limita
ragionevolmente tutto questo alla sola ricerca di idrocarburi con la tecnica
del pozzo esplorativo (e alle opere connesse) e agli impianti necessari alla
attività di estrazione del petrolio e del gas. Il decreto del Governo, invece,
sembra voler estendere la previsione del vincolo preordinato all’espropriazione
in modo “generalizzato” e “automatico” addirittura alle attività di prospezione
e di ricerca. Interpretato così rigidamente, esso sarebbe, però, di dubbia
legittimità. L’interpretazione preferibile (almeno si spera) sarebbe un’altra: che,
cioè, i decreti del ministero che autorizzino l’esercizio di quelle attività
contengano l’esatta individuazione del bene sul quale graverebbe il vincolo
preordinato all’esproprio; diversamente, incidendo il vincolo sulla proprietà
del privato e non consentendogli di esercitare i diritti che gli derivano
dall’essere proprietario (es. edificabilità), ci troveremmo dinanzi ad una
autentica assurdità: sarebbe, infatti, inconcepibile che su tutta l’area
destinata alla ricerca di idrocarburi i proprietari dei fondi non possano fare
alcunché in attesa che scada il termine del vincolo (forse sette anni, in
quanto dovrebbe applicarsi la legge n. 70 del 2011, riguardante le opere
strategiche).
La valutazione degli
effetti che tali attività avranno sull’ambiente sarà di competenza dello Stato.
E i procedimenti VIA non conclusi dalle Regioni entro il 31 dicembre 2014
saranno conclusi dallo Stato.
Un’altra importante
novità riguarda il rilascio del titolo concessorio unico, che ricomprende sia
la ricerca sia la coltivazione (e la prospezione?): sei anni la ricerca
(prorogabile per due volte per un periodo di tre anni) e trenta anni la
coltivazione (prorogabile per una o più volte per un periodo – massimo? – di
dieci anni). Il titolo è rilasciato dal Ministero dello Sviluppo Economico, a
seguito di un procedimento unico, che si svolge entro centottanta giorni in
sede di conferenza di servizi (nella la quale è acquisita anche la valutazione
ambientale strategica). Resta l’intesa da stringere con la Regione interessata
(che probabilmente sarà chiamata a rilasciarla in conferenza). La VIA sulle
attività di perforazione e di realizzazione degli impianti dovrà concludersi
entro sessanta giorni dalla presentazione delle domande. Tutto questo troverà
applicazione anche ai procedimenti in corso se le compagnie petrolifere lo
richiederanno entro novanta giorni dall’entrata in vigore dello “Sblocca Italia”.
Anche se occorrerà poi attendere il disciplinare tipo del Ministero dello
Sviluppo Economico per capire in che modo saranno conferiti i nuovi titoli e in
che modo si eserciteranno le attività relative.
La previsione di un
titolo unico desta forti dubbi di legittimità, sia in relazione al diritto
dell’Unione europea sia in relazione al diritto di proprietà dei privati ex
art. 42 Cost. (su questo mi permetto per il momento di rinviare al mio saggio
pubblicato in Petrolio, Ambiente, Salute,
Giulianova, Galaad Edizioni, 2013).
Il decreto sembrerebbe,
poi, dare il via libera alle attività petrolifere nelle acque del Golfo di
Napoli, del Golfo di Salerno e delle Isole Egadi, attraverso una previsione
che, solo apparentemente, parrebbe dettata da ragioni di tutela ambientale.
Questa conclusione la si trae dal fatto che la procedura disciplinata all’art.
38, comma 9, si applica “ai titoli minerari (dunque già rilasciati) e (anche) ai
procedimenti di conferimento”,
ricadenti nelle aree di cui all’articolo 4, comma 1, della legge n. 9 del 1991
(che sono appunto relative, oltre al Golfo di Venezia, al Golfo di Napoli, al
Golfo di Salerno e alle Isole Egadi).
Resta, infine, il comma
10 dell’art. 38: esso è relativo alle risorse nazionali di idrocarburi in mare
“localizzate in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi
rivieraschi oggetto di ricerca e coltivazione di idrocarburi” (cosa si intenda,
però, con “prossimità” non è affatto chiaro). Con questa previsione si finisce
per derogare al divieto di esercizio
di nuove attività in mare, che ricadano entro le 12 miglia marine dalla costa.
Individuate tali risorse, il Ministero dello Sviluppo Economico può, infatti,
autorizzare per massimo cinque anni (prorogabili per altri cinque) progetti
“sperimentali” di coltivazione di giacimenti di idrocarburi (sentite le Regioni).
Enzo Di Salvatore