All’incontro sul riordino delle Province tenutosi ieri pomeriggio a Pineto c’era una grande assente: la politica. Non parlo della politica con la “P” maiuscola. So bene che in questo momento i big della Politica sono alacremente impegnati a discutere di strategie elettorali. No. Mi riferisco alla politica con la “p” minuscola. Quella a cui appartengono coloro che, direttamente o indirettamente, si troveranno presto coinvolti nel processo decisionale, che porterà alla riscrittura della geografia istituzionale dell’Abruzzo. C’è da chiedersi come mai. Forse perché sanno che non di autentica decisione si tratti, visto che alla fine il Governo nazionale deciderà in solitudine. O forse perché, più semplicemente, ogni dubbio è in loro dissipato, al punto tale da ritenere che qualsivoglia confronto con il prossimo sia perfettamente superfluo.
Escluderei entrambe le ipotesi. Perché se una sola delle due fosse vera non assisteremmo al balletto che quotidianamente impazza sulla stampa. Giacché: quali buone ragioni sorreggerebbero le diverse proposte finora avanzate? Non certo quelle del campanile, si dice. Ben altre. Per esempio, il fatto che se sparisse questa o quella Provincia vi sarebbero gravi disservizi per i cittadini. O magari il fatto che possa essere maggiormente conveniente, per questo o quel Comune, annettersi o restare in questa o in quella Provincia.
Capisco chi si dichiari contrario ad una delle proposte ventilate per motivi di appartenenza identitaria: per quanto discutibile, si tratterebbe pur sempre di una posizione, che affonda le sue ragioni direttamente nel cuore. Capisco molto meno, invece, chi crede che da una sola delle proposte avanzate possa derivare un qualche “vantaggio” o “utilità”, specie in termini economici. Perché se così fosse, vorrebbe dire che il disegno sul riordino delle Province non gli è del tutto chiaro.
A parte, infatti, quanto già stabilisce il TUEL (l’istituzione di una nuova provincia non necessariamente comporta l’istituzione di uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici), la circostanza che venga mantenuta o soppressa una data Provincia costituisce un fatto pressoché irrilevante dal punto di vista dei benefici che si avrebbero o si perderebbero, dal momento che la legge n. 214 del 2011 impone che entro il 31 dicembre 2012 tutte le funzioni attualmente spettanti alle Province siano trasferite ai Comuni. Ed è quello che in effetti fa ora l’art. 17 della legge n. 135/2012, il quale, da un lato, devolve ai Comuni le funzioni finora spettanti alle Province nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e, dall’altro, riserva alle stesse solo tre “gruppi” di funzioni “fondamentali”, relativi ai settori dell’ambiente, della viabilità e dei trasporti, della scuola. Tre “gruppi” soli, che, a me pare, presentano un contenuto più scarno rispetto a quello previsto dal TUEL. Basti pensare alla scuola: il TUEL stabiliva che alle Province spettassero “i compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l’edilizia scolastica”; la legge n. 135 del 2012 stabilisce, invece, che ad esse spettino “la programmazione provinciale della rete scolastica” e “la gestione dell’edilizia scolastica relativa alle scuole di secondo grado”.
Per il resto, le Province saranno chiamate unicamente a coordinare e indirizzare le “attività” dei Comuni, nei limiti fissati dalla legge dello Stato e da quella della Regione (secondo le rispettive competenze) (v. anche l’art. 14 della legge n. 122 del 2010). Tutte le altre funzioni – fino ad oggi conferite alle Province – sono automaticamente devolute in capo ai Comuni.
Insomma un po’ poco. Per questo ritengo che la discussione intorno al riordino delle Province – almeno nei termini posti – stia diventando oziosa. Perché le proposte avanzate hanno tutte ad oggetto il riordino di un Ente che è ormai una scatola vuota. Di questo dovrebbe semmai dolersi la politica con la “p” minuscola. E cioè del fatto che la politica con la “P” maiuscola – attraverso due interventi legislativi – abbia finito per riscrivere le caratteristiche di un ente territoriale, modificandone, nella sostanza, la natura.
Una riscrittura che, a mio parere, viola la Carta costituzionale: non solo in relazione al procedimento sancito dalla stessa per il riordino (art. 133 Cost.), ma soprattutto in relazione alla garanzia dell’autonomia locale (art. 5 Cost.), che si estrinseca attraverso la previsione di specifici “tipi” di funzioni amministrative in favore della Provincia.
L’art. 117 della Costituzione stabilisce, infatti, che la legge dello Stato determini le funzioni “fondamentali” delle Province. Ed è quello che fa, appunto, ora la legge n. 135 del 2012, che, nell’individuare quelle tre funzioni sopra richiamate (ambiente, trasporto e scuola), cita espressamente l’art. 117 Cost., comma 2, lett. p), Cost. Ma il fatto è che la Costituzione non contempla solo la categoria delle funzioni “fondamentali”, bensì, accanto a queste, anche quelle “proprie” e quelle “conferite” (art. 118 Cost.). Per questo la Costituzione è calpestata. Aver stabilito che alle Province spettino esclusivamente le funzioni di indirizzo e coordinamento, nonché le tre funzioni “fondamentali” di cui si è detto, equivarrebbe a negare che le Province siano titolari anche di funzioni “proprie” e di funzioni “conferite” (si veda l’art. 23, commi 14 e 18, della legge n. 214 del 2011).
Vero è che qualche giurista ritiene che le funzioni “fondamentali” siano coincidenti con quelle “proprie”, ma questa opinione non mi ha mai convinto del tutto. Anche se così fosse, il risultato comunque non cambierebbe, in quanto la legge del Parlamento impedirebbe che – da questo momento in poi – le Province possano essere titolari anche di funzioni “conferite” con legge della Regione (a meno che non si interpreti questo divieto come circoscritto solo alle funzioni finora conferite alle Province, ammettendosi che in futuro la legge della Regione possa conferire alle stesse nuove funzioni).
Finora la politica ha preferito discorrere di accorpamenti e di fusioni. Di denominazioni e di Città metropolitane. E i cittadini si sono divertiti, sono rimasti indifferenti o si sono indignati.
Ma credo sia giunto il momento di iniziare a prendere coscienza del fatto che una sola alternativa resti sul tappeto: chinare per sempre la testa o denunciare l’illegittimità della legge dello Stato.
ENZO DI SALVATORE