Una settimana fa, il 12
novembre, a seguito della seconda delle tre devastanti alluvioni in Liguria in
poco più di trenta giorni, è stato indirizzato al prefetto di Genova Fiamma Spena,
in qualità di rappresentante del governo nella Provincia, l’appello
sottoscritto da un gruppo regionale spontaneo di genitori perché l’autorità si
faccia loro portavoce presso l’organo esecutivo e venga posto in essere un
piano d’azione di interventi di tutela e messa in sicurezza del territorio,
nonché di definitivo rinnovamento degli edifici scolastici.
Un appello che,
nell’immediatezza della forma, è una più che mai chiara invocazione alla programmazione
e pianificazione di improrogabili misure strutturali di “lungo respiro”.
Un richiamo affinché si
proceda all’adozione di risolutivi provvedimenti tesi a ricondurre il concetto
d’allerta nel naturale canone dell’eccezionalità e venga riconsegnato “il
territorio” ad una indispensabile normalità contestuale; ma anche un monito
alla stessa classe politica miopie che, sul dissesto idrogeologico, celebra la
retorica della necessità dell’agire in prevenzione mentre “sblocca” urgenti
attività d’intervento pertinente e nuove opere “strategiche” di cementificazione
nazionale.
Sosteneva lucidamente,
meno di una settimana fa, l’europarlamentare Barbara Spinelli che “Mettere in
sicurezza il territorio significa finanziare un piano di opere diffuse,
partendo dai Piani di gestione del rischio di Alluvione – prescritti fra
l’altro dalla Direttiva 2007/60/CE – così da uscire dalla logica della perenne
emergenza, dei piani straordinari, dei commissari speciali, delle procedure in
deroga e del regolare malaffare”.
A lei ha fatto eco la
geologia che, nel rievocare le conseguenze dell’edificazione selvaggia, del
grado del dissesto e l’entità della dimensione di rischio, si è espressa con
giudizi ancor più grevi: “In una normale evoluzione del territorio i versanti
franano, i fiumi scorrono ed esondano. Ma una pericolosità si trasforma in
rischio quando noi interferiamo con esso […] Non abbiamo mai considerato
l’evoluzione del territorio come fatto normale. Abbiamo pensato di [dover]
essere noi […] ad agire su di lui […] ed oggi ne paghiamo le conseguenze” [cfr.
G.V. Graziano, in wisesociety.it,
13.11.2014].
Sulla medesima traccia
le dichiarazioni rilasciate in settimana su «La Stampa» da Fabio Luino,
dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del Cnr, quando sulla
specificità ligure ha sostenuto che “la Liguria si potrebbe salvare solo
abbattendo ciò che è stato costruito nel posto sbagliato”. Una considerazione
certamente da stato terminale, che contempla, quale unica soluzione, in uno
slancio d’estrema razionalità forse ed assolutamente fuori da improbabili fatalismi,
il necessario ripristino coatto delle condizioni di “normalità” fisica dei
territori.
Il dato inequivocabile
è, comunque, quello espresso dai numeri complessivi raccolti nelle analisi sul
rischio idrogeologico, con 28 milioni di italiani dimoranti in territori ad
elevato o medio pericolo, 1 milione e 260 mila edifici (dei quali oltre 6000
scolastici); 6633 comuni sugli 8071 totali [dal Report del Ministero Ambiente
2008], la quasi totalità – tra il 98 ed il 100% – degli stessi sono sotto
minaccia di frane o alluvioni in 10 Regioni e, con una superficie pari a quasi
30.000 Kmq, il 9.8% dell’intero territorio nazionale è ad alta criticità
idrogeologica. [dal Rapporto Ecosistema-Rischio 2013, della Protezione Civile].
Ciò che galleggia
esanime su questo flusso ininterrotto d’acqua e di fango pare essere lo stesso
Paese, o parte dei suoi resti, dopo mezzo secolo di previsioni autorizzatorie
irresponsabili e il dilagante abusivismo edilizio.
La stessa
irresponsabilità, con la quale si è “condizionato” il territorio con
impermeabilizzazioni diffuse, cementificazione intensiva, scelte volumetriche
troppo spesso irragionevoli, in una degenerata compartecipazione al consumo del
suolo tra “interessi” pubblici e privati, offre, in termini più generali e
nell’immagine delle odierne frane e voragini, la “metafora minacciosa di un
paese che sta crollando a livello politico, economico e sociale” [Mumelter, in Internazionale.it, 17.11.2014].
In questo senso
l’appello dei genitori liguri pare essere molto più di un richiamo alla tragica
contemporaneità, quindi; è una invocazione a nuova “responsabilità”, esprime
una tensione ideale che travalica lo spazio ed il tempo presente e si
universalizza, mettendo in luce quella “essenziale dimensione interpersonale e
dialogale dell’esperienza etica”, “la convinzione che la libertà umana è tenuta
a rispondere delle proprie decisioni […] alle generazioni che verranno e le cui
condizioni di vita materiali e culturali dipenderanno da comportamenti posti da
noi, qui, adesso” [C.M. Martini, Non
temiamo la Storia, Milano-Casale Monferrato, 1992].
Stefano Pulcini